Giovanni 10,27-30
27 In quel tempo, Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola".
1) Le mie pecore ascoltano la mia voce: con queste parole Gesù riprende il discorso - parabola in cui si era definito "porta" e "pastore buono" delle pecore (cfr. Gv 10,9.11), responsabile del gregge a Lui affidato sino all’offerta della vita. Nel giorno della Festa della dedicazione del Tempio Gesù risponde alle domande dei giudei che lo attorniano riaffermando la propria identità di "inviato dal Padre" nella perfetta unità con Lui. L’appartenenza a Gesù è provata dall’obbedienza alla sua voce, alla sua parola: l’ascolto docile di quello che Egli dice è infatti condizione per diventare figli (cfr. Gv 1,12). La fiducia filiale nasce dal riconoscere l’unica fonte della Sapienza nella Parola del Signore: è Lui che ci conosce prima di essere conosciuto (cfr. Gv 1,47-51: Natanaele gli domandò: "Come mi conosci?" Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico!").
2) Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute…: la vita eterna è dono. È la conoscenza del Padre e del Figlio inviato per rivelare il Nome del Padre a coloro che da Lui gli sono stati affidati: (cfr. Gv 17,1-3;5-6). Lo Spirito santo che il Signore ha donato con la sua morte e resurrezione è la stabile comunione con la vita divina, per cui nessuna creatura può separare dall’amore di Dio quelli che si lasciano guidare dalla sua voce e rimangono nel suo insegnamento. (cfr. Rm 8,15-17).
3)…e nessuno le rapirà dalla mia mano: la mano del Cristo è la mano del Padre Onnipotente al quale egli si è pienamente consegnato nella certezza della fede (cfr. Gv 8,29: In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi). La volontà del Padre, alla quale Gesù perfettamente aderisce, è che nessuno si perda. Le forze del male non hanno potere sul gregge di Cristo che veglia su di esso e lo custodisce (cfr. Lc 12,32: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo regno).
4) Io e il Padre siamo una cosa sola: nell’unità inscindibile del Padre e del Figlio, mediante la Chiesa e gli apostoli, sono introdotti anche tutti i figli di Dio raccolti insieme dall’offerta d’amore che il Cristo ha fatto di sé (cfr. Gv 17,23-24: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola… Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo").
Atti 13,14.43-52
14 In quei giorni, Paolo e Barnaba, attraversando Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero.
43 Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio.
44 Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. 45 Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. 46 Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: "Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. 47 Così infatti ci ha ordinato il Signore:
"Io ti ho posto come luce per le genti,
perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra"".
48 Nell’udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna.
49 La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. 50 Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. 51 Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, 52 mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
1) Entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero: nei versetti 15-42 (non compresi nel testo liturgico) Paolo e Barnaba vengono invitati dai capi della sinagoga a commentare il testo biblico appena proclamato nella liturgia sinagogale. Accettato l’invito, Paolo presenta una sintesi storica degli atti con cui Dio scelse e guidò il popolo d’Israele. Il discorso giunge al suo culmine nell’affermazione che nella morte e resurrezione di Gesù si sono pienamente realizzate le promesse di Dio al suo popolo. L’annuncio si conclude con un pensiero di respiro universale, tipico di Paolo: chiunque crede in Cristo riceve la giustificazione da tutto ciò da cui non fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè (v 39). Questo discorso pare suscitare grande interesse negli uditori, tanto che gli apostoli vengono invitati a tornare a parlare il sabato seguente (v 42).
2) Molti giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba: attraverso la ricerca di una conversazione privata, più intima e personale, all’esterno della sinagoga, vediamo come la fede inizia a mettere le sue radici nel cuore di chi si apre ad accoglierla.
3) Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò: è proprio la straordinaria affluenza, e dunque il successo ottenuto da Paolo anche presso i non giudei, che provoca la gelosia di questi. Di fatto la rottura con la sinagoga è l’amara esperienza che accompagna sempre la predicazione di Paolo (cfr. At 17,6;19,9;26,11).
4) Era necessario che fosse annunziata a voi per primi: Paolo, l’apostolo delle genti, è profondamente convinto che i Giudei, in quanto popolo eletto, erede delle promesse, abbiano un diritto di precedenza per ricevere l’annuncio della salvezza: il vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco (Rm 1,16).
5) Ecco noi ci rivolgiamo ai pagani: gli Atti ricordano altri due casi in cui Paolo respinto espressamente afferma di rinunciare a predicare ai Giudei per rivolgersi ai pagani: a Corinto (At 18,6) e a Roma (At 28,28).
6) Sobillarono le donne pie di alto rango ed i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba: appoggio dei potenti, diffamazione e violenza sono le vie tradizionalmente utilizzate nel mondo per schiacciare i nemici.
7) Scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Iconio: gli apostoli rispondono al rifiuto come ha insegnato loro il Signore (cfr. Lc 10,10). L’espressione "contro di loro" significa che è già in atto un giudizio di condanna e il gesto compiuto dagli apostoli sarà un giorno portato a testimonianza davanti al tribunale di Dio (cfr. Lc 9,5).
8) I discepoli erano pieni di gioia: anche se gli apostoli sono stati cacciati e fatti tacere, la Parola di Dio non può essere costretta (cfr. 2Tm 2,9), né la sua fecondità annullata.
Apocalisse 7,9.14-17
9 Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani.
14 E uno degli anziani disse: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello.
15 Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
16 Non avranno più fame, | né avranno più sete, | né li colpirà il sole, | né arsura di sorta, | 17 perché l’Agnello che sta in mezzo al trono | sarà il loro pastore | e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi".
1) Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?": sono quella moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (v 13), frutto dell’amore di Dio che ha mandato il suo Figlio unigenito a donare la vita eterna a tutti coloro che gli ha dato (Gv 17,2). È immensa la moltitudine perché immensa è la misericordia del Padre che vuole la salvezza del mondo, non soltanto quella degli eletti, i 144.000 delle dodici tribù dei figli d’Israele (Ap 7,4).
2) sono coloro che sono passati attraverso la (lett.: che vengono dalla) grande tribolazione: l’azione del venire espressa al presente indica la continuità di questo venire, come una processione perenne di salvati che dalla terra va verso il cielo, dove gli eletti, già pienamente nella gioia, celebrano una liturgia di lode a Dio: gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario (v 15). In Mt 24,21 per "grande tribolazione" si intende la persecuzione finale degli ultimi tempi contro gli eletti. Qui il riferimento battesimale alle bianche vesti indica tutti coloro che hanno abbandonato l’uomo vecchio e si sono rivestiti di quello nuovo, quindi tutta la Chiesa, che per il tempo che manca alla venuta finale del Signore deve essere sottoposta alla prova e poi quanti, partecipi della passione di Cristo, sono salvati dalla Pasqua del Signore Gesù. Le vesti bianche sono il segno della vittoria sul mondo: il Vincitore sarà… vestito di bianche vesti (Ap 3, 5).
3) Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro: Dio ha scelto la tenda come luogo in cui abitare in mezzo agli uomini nell’Esodo, durante il lungo viaggio che gli Israeliti hanno dovuto compiere per quarant’anni nel deserto verso la terra promessa: Egli abitava nella tenda posta fuori dall’accampamento, dove si recava chiunque volesse consultare il Signore (Es 33,7). Questa nuova tenda è il compimento della promessa significata dalla prima: stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò (Lv 26,11). Infatti nella pienezza dei tempi: il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14) perché noi fossimo per sempre con Lui, nella sua dimora. Nella casa del padre mio vi sono molti posti… Io vado a prepararvi un posto (Gv 14,2).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Come più volte ci siamo detti, la comunità ecclesiale attraversa un percorso particolarmente arduo della sua presenza nel mondo e tra le nazioni. Il rischio è quello di una riduzione del suo messaggio ad una "dottrina", o addirittura ad un "ragionamento", pericolo questo che ha radici antiche, soprattutto nel mondo occidentale; l'altro punto debole, intimamente connesso al primo, è quello di una riduzione "etica" dello stesso messaggio. La proposta sapienziale luminosa e agile che scaturisce dai testi biblici di questa domenica sembra condurre verso una "scommessa" sul mistero dell'uomo, quasi un istinto segreto che rende aperto il cuore umano, al di là di tradizioni e scienze, a riconoscersi in un'ipotesi di interpretazione insieme disincantata e positiva della storia e delle sorti future della creazione e della storia.
Non è una proposta di evasione. Non prescinde da tutti i drammi e da tutti i problemi che caratterizzano la grande avventura dell'uomo. Nè si tratta di messianismi apocalittici come sempre ci sono stati. Qui si deve pensare piuttosto all'ipotesi di una "storia nuova" che peraltro viene riconosciuta anche da menti e volontà molto lontane. Una storia nuova, quindi, ma anche misteriosamente antica, quasi riposta nelle pieghe più profonde dell'esistenza. Lo scandalo di un popolo, quel "popolo di Dio" che si è raccolto nella vicenda di Israele, un popolo che ora non riconosce questa "novità" come consona alla sua tradizione e alla sua attesa, s'incrocia oggi con l'ebbrezza di "lontani" che avvertono di essere stati finalmente "raggiunti" da quello che inconsapevolmente aspettavano. Il Libro dell'Apocalisse dice che non si tratta di un’élite di pochi, ma di una moltitudine immensa. Gesù di Nazaret conferma tutto ciò, e parla di una misteriosa "intesa" interiore che consente di riconoscere e di seguire, e addirittura di sperimentare, come potenza nuova di fronte a tutte le paure del Male e della Morte, la chiamata ad entrare in una nuova famigliarità, in una nuova fratellanza e in una nuova figliolanza.
Non dobbiamo sospettare che questo neghi e rinneghi la grande tradizione profetica che precede e prepara il tempo ultimo della storia. Al contrario: l'ebraismo è senza dubbio la lettura più profonda della reale condizione dell'uomo, della sua povertà e della sua speranza. Ma deve accettare di spogliarsi di una "particolarità" che ne farebbe una parte di fronte o contro le altre, come sempre è stato. Solo entrando nella piena consapevolezza dell'universalità della sua funzione storica, l'ebraismo trova la pienezza della sua verità e l'apice della sua missione verso tutti i popoli, tutte le fedi, tutti i cuori. Ma ora è necessario che accetti di far parte di un'elezione universale, pena ridursi all'animo geloso delle donnette di Antiochia. E la comunità ecclesiale deve al più presto ritrovare la passione e la gioia di un puro annuncio del Vangelo che si presenta come l'unica Parola capace di comunicarsi e di essere accolta da ogni lingua, popolo e nazione.
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