2 Aprile 2006
V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
Giovanni 12,20-33
20
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù".22
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose: "È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. 24 In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 27 Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome".Venne allora una voce dal cielo: "L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!".
29
La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato". 30 Rispose Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".33
Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.1) Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci: la festa è quella della Pasqua e in mezzo ai Giudei saliti al Tempio di Gerusalemme vi sono anche alcuni simpatizzanti del giudaismo, non ebrei, ma di lingua e cultura greca.
2) Questi si avvicinarono a Filippo… e gli chiesero "Signore, vogliamo vedere Gesù": per ottenere di vedere Gesù i Greci si rivolgono a Filippo, forse perché lo sentono vicino a loro, portando un nome greco; questi poi a sua volta riferisce la loro intenzione ad Andrea, quindi i due insieme vanno a dirlo a Gesù. Essi così svolgono una importante funzione di mediazione tra il mondo e Gesù, tipica dei discepoli: Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv 20,21).
3) E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo: per Gesù l’ora della gloria, che coincide con la sua manifestazione alle Genti, è quella della sua morte.
4) Se il chicco di grano caduto in terra non muore…: il chicco di grano è Gesù; perché esso dia molto frutto è necessario che muoia.
5) Ora l’anima mia è turbata: nonostante il turbamento della sua anima, Gesù non si sottrae all’ora, perché solo così potrà glorificare il Padre; infatti questo comando ho ricevuto dal Padre mio (Gv 10,18).
6) Venne allora una voce dal cielo: "L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò": una voce simile si era già sentita al momento del Battesimo: Tu sei il Figlio mio prediletto in te mi sono compiaciuto (Mc 1,11) e della Trasfigurazione: Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo (Mc 9,7). La gloria del Padre coincide con quella del Figlio; infatti c’è perfetta unione di intenti tra Padre e Figlio: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 11,30).
7) Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me: nell’ora della sua massima umiliazione, quando cioè è innalzato sul legno della croce, Gesù attira tutti a sé, per renderli partecipi della sua gloria, cioè del suo essere unito al Padre. Il Padre attira tutti attraverso il sacrificio d’amore del Figlio.
Geremia 31,31-34
31
"Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. 32 Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore.33
Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. 34 Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato".1) Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova: il tema dell’alleanza inizia nella Scrittura con il patto di Dio con Noè (Gen 9,9), in cui Dio stabilisce in modo unilaterale un rapporto con ogni essere vivente e promette che non devasterà più il cielo e la terra, ponendo l’arcobaleno come segno esteriore di questa alleanza; continua poi con il patto con Abramo (Gen 15,18), in cui Dio promette alla sua discendenza il possesso della terra promessa e infine con il patto con il popolo di Israele sul Sinai (Es 19,5), stretto sulla base delle "dieci parole". L’alleanza nuova, di cui si parla qui, è tale perché il precedente patto, quello del Sinai, è violato e in seguito a ciò il popolo è deportato a Babilonia. Vi sono ancora altri patti, nei quali i contraenti sono gli uomini, come quello stabilito da Giosué con il popolo in Sichem (Gs 24,25), quello fra Davide e Gionata, (1Sam 18,3: Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava come se stesso),o quello fra Giacobbe e Labano (Gen 31,44: Ebbene, vieni, concludiamo un’alleanza io e te e ci sia un testimonio fra me e te). Anche questi indicano un vincolo speciale di comunione tra le persone.
2) Un’alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore: ci si riferisce all’alleanza del Sinai, caratterizzata da una relazione molto stretta, "nuziale", di amore tra Dio e il suo popolo.
3) Porrò la mia legge nel loro animo: la Legge cessa di essere un codice esterno, per diventare un’ispirazione che tocca il cuore dell’uomo (cfr. Ez 36,26 toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi).
4) Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande: l’espressione dal più piccolo al più grande indica l’universalità dell’opera di Dio a favore degli uomini. Cfr. anche Gn 3,5: i cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo.
5) Poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato: poiché c’è stata la violazione della precedente alleanza, la nuova deve partire dal perdono dei peccati, per iniziare una storia nuova.
Ebrei 5,7-9
7
Cristo, nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; 8 pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.1) Questi versetti fanno parte anche della seconda lettura del Venerdì Santo e si trovano alla conclusione di un discorso iniziato al v. 5, in cui si afferma la filiazione (cfr. Sal 2) e il sacerdozio (cfr. Sal 109) del Cristo.
2) Nei giorni della sua vita terrena (lett. nei giorni della sua carne): si mette in evidenza l’umanità e quindi la debolezza di Gesù (cfr. anche Gv 1,14: E il Verbo si fece carne).
3) Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo dalla morte (lett. salvarlo dalla morte: si tratta dello stesso verbo usato nel vangelo, Padre, salvami da quest’ora Gv 12,27): alla luce dei racconti evangelici, specialmente della preghiera nell’orto degli ulivi, non sembra che Gesù chieda di essere liberato dalla morte, ma piuttosto dalla paura della morte, che gli impedirebbe di affidarsi completamente alla volontà del Padre.
4) con forti grida e lacrime: è richiamato il Sal 21 (Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza - sono le parole del mio lamento - . Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo), che esprime la reale umanità di Cristo, la sua piccolezza e debolezza, che lo rende solidale con la sofferenza di tutti gli uomini.
5) Fu esaudito per la sua pietà: il fine principale della preghiera di Gesù è l’umile obbedienza alla volontà del Padre; in questo consiste la sua pietà.
6) Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì: Gesù, pur essendo Figlio di Dio, non vuole essere esente dalle sofferenze comuni a tutti gli uomini; cfr. Fil 2,6-11: pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma (…) umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte.
7) Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono: reso perfetto è la stessa parola di Gesù morente (tutto è compiuto, in lat. Consummatum est, cfr. Gv 19,30), che indica la perfezione della croce, la consumazione dell’amore. Cfr. Eb 2,10 Era ben giusto che Colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che gli ha guidati alla salvezza.
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
La fecondità di una vita nella storia diventa enigma quando si pretende di poterla misurare cogliendo gli elementi di forza che, anche in modo positivo per gli altri, la caratterizzano e ne favoriscono l’affermazione. Difficilmente infatti un tale sguardo riuscirà a nascondere l’ambiguità in cui tutti gli eventi prima o poi precipitano, oppure potrà sottrarsi alla tentazione di inventare sempre nuovi miti che la occultino. Lo sguardo di Gesù si pone invece su una linea radicalmente alternativa quando afferma: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore porta molto frutto". Gesù qui non intende raccomandare l’atteggiamento umile e lo spirito di sacrificio personale che devono accompagnare ogni operatività, insomma non parla tanto di scelte morali come condizioni di fecondità, piuttosto parla della sua morte sulla croce e paradossalmente vede in questo evento di morte e di sconfitta la risposta alla domanda dei greci che lo vogliono conoscere: "Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". È una nuova fecondità che si sprigiona non tanto dalla sconfitta in sé, quanto dall’amore, che proprio nella sconfitta, manifesta appieno la sua forza, scaturente dalla sua debolezza.
Non si tratta di "odiare la propria vita", come dice Gesù, perché "sia custodita per la vita eterna", intendendo con questo un evento rimandato al "mondo a venire", ma piuttosto di cogliere una vita diversa già presente nella storia ed in noi. Potremmo chiamare questa nuova dimensione dell’essere la fecondità infinita del perdono, come unica forza capace di scrivere una storia nuova all’interno del cuore, senza affidarla alle tavole della legge. È una vita di cui non può essere data dall’esterno una dimostrazione che "costringa" all’assenso, ma di cui può e deve essere fatta esperienza accettando di entrare nella sua gioia e nella sua tribolazione senza sicurezze preventive. È una scommessa che non riguarda il futuro, ma il presente e per questo è ineludibile.
Tutti gli uomini "credenti" o non "credenti", giusti o peccatori, greci o giudei, di fronte a questa "morte per la vita" giocano la loro esistenza e sono chiamati ad essere dei discenti, sempre bisognosi di apprenderne i primi rudimenti, per cui, come ci avverte il profeta Geremia, "non dovranno più istruirsi gli uni gli altri". Tutti sono discepoli, a cominciare dallo stesso Gesù che "imparò l’obbedienza dalle cose che patì" e tutti sono nella stretta della vita, compreso Gesù "che nei giorni della sua carne offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime". La croce è così il nuovo patto cui tutta la storia è appesa, patto che non può venire meno perché rivolto non a giusti, da cui si aspetta fedeltà alle sue condizioni, ma a peccatori, intimamente segnati dalla misericordia ricevuta dall’altro, che non hanno bisogno di travestirsi da giusti per ottenere il perdono, perché divenuto legge fondante non solo del nuovo patto, ma della nuova storia che da questa "carta costituzionale" è generata.
www.famigliedellavisitazione.it