19 Marzo 2006
III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
Giovanni 2,13-25
13
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. 15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". 17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora".18
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". 19 Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". 20 Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo.22
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.23
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. 24 Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo.1) Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme: il riferimento alla pasqua dei Giudei mette in relazione questo episodio della vita di Gesù con l'antica economia; la novità portata da Gesù non sovverte, ma è in continuità con l'antica e la porta a compimento.
2) Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco: Gesù trova nel tempio quanto è messo in vendita per facilitare il compimento dei sacrifici, ma il Tempio, la casa del Padre, non deve essere luogo di "vendita" (parola da cui deriva anche "prostituzione"), bensì di unione sponsale con Dio (nei sinottici si parla di casa di preghiera per tutti i popoli). Per questo Gesù scacciò tutti fuori dal Tempio e ai venditori di colombe disse: Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato. Nei Sinottici viene usata l'espressione molto più forte: una spelonca di ladri.
3) I discepoli si ricordarono che sta scritto: "lo zelo per la tua casa mi divora": il versetto del Salmo 69 che i discepoli ricordano diventa una profezia della morte di Gesù; infatti l’amore per Dio non lascia indenni. L’azione di Gesù manifesta l’amore del Padre, che è geloso della santità del suo tempio, dove non ci deve essere commercio di vittime, ma dono di sé. Le antiche vittime sacrificali devono far posto all’unica e perfetta, che è Gesù stesso.
4) Quale segno ci mostri per fare queste cose? Rispose Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere": Gesù non rifiuta di dare il segno chiesto, ma lo identifica con la sua pasqua. La sua persona come nuovo tempio sarà uno dei capi d'accusa durante la Passione; infatti Egli parlava del tempio del suo corpo: il presentare il corpo di un uomo come tempio, cioè come dimora di Dio, è scandaloso per i Giudei.
5) Quando poi fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo: la risurrezione di Gesù è causa del "ricordo" nel cuore dei discepoli, come anche il dono dello Spirito (Gv 14, 26: Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto).
6) Gesù conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro; egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo: anche altrove il vangelo di Giovanni mostra la conoscenza profonda che Gesù ha della fragilità del cuore umano (cfr. 5,42: Io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio), ma questa è anche una conoscenza amorosa (cfr 10,14: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore).
Esodo 20,1-17
1
In quei giorni Dio pronunciò tutte queste parole: 2 "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: 3 non avrai altri dei di fronte a me.[
4 Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6 ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.]7
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.8
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: [9 sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; 10 ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11 Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.]12
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio.13
Non uccidere.14
Non commettere adulterio.15
Non rubare.16
Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.17
Non desiderare la casa del tuo prossimo.Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".
1) Dio allora pronunciò tutte queste parole: i dieci comandamenti, prima di essere comandi, precetti (come al v. 6) sono parole, un dono per Israele, chiamato ad ascoltare il suo Signore che parla (cfr. Es 34,28: Il Signore scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole). Nel testo parallelo di Dt 5,1-21 il decalogo è introdotto da una prima indicazione, da cui tutto il resto scaturisce: Ascolta, Israele…
2) Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto: il nome misterioso di Dio (cfr. Es 3,13: mi diranno: Come si chiama?… Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre) assume, dopo l’evento pasquale, una luce nuova: Egli non è più solo il Dio dei padri, ma il tuo Dio, il Dio di una storia di salvezza, di cui ciascuno ha fatto esperienza (cfr. Sal 67,21: Il nostro Dio è un Dio che salva, il Signore Dio libera dalla morte (lett. del Signore Dio sono le uscite della morte).
3) Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso: il rifiuto di ogni idolatria è qui giustificato non tanto dall’unicità di Dio, come avviene in Dt 6,4 (il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo), quanto dall’esclusività del rapporto nuziale con Lui; infatti Dio è uno sposo geloso (cfr. Es 34,14, dove la gelosia diventa uno dei Suoi nomi: Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso; egli è un Dio geloso).
4) Il Signore non lascerà impunito (lett. non purificherà, non dichiarerà mondo) chi pronuncia il suo nome invano: è un giudizio severo; questo peccato rende impuri e Dio lascia nella sua impurità chi lo commette. La LXX usa qui lo stesso verbo che nel Salmo 50(51) è sulle labbra di Davide (mondami dal mio peccato,… purificami con issopo e sarò mondo).
5) Il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro (lett. lo ha santificato): santificare significa separare. Ciò che è santo è separato, perché è di Dio, è riservato a Lui. Come il settimo giorno è diverso da tutti gli altri giorni, perché è di Dio (v. 10: il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio), così lo è Israele tra tutti gli altri popoli (cfr. Es 31,13: In tutto dovrete osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno tra me e voi, per le vostre generazioni, perché si sappia che io sono il Signore che vi santifica. Osserverete dunque il sabato perché lo dovete ritenere santo).
6) I versetti dal 12 al 17 contengono la seconda sezione del decalogo: dalla fedeltà nel rapporto con il Signore scaturisce la pace di ogni relazione con il prossimo (la parola prossimo è ripetuta al v.16, al 17 e due volte al 18). Particolare attenzione e abbondante spesa di parole è attribuita al non desiderare nulla al di fuori di ciò che il Signore ha dato, via semplice di sapienza e di pace.
1Corinzi 1,22-25
22
Fratelli, mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, 23 noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 24 ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. 25 Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.1) Mentre i Giudei chiedono miracoli (lett. segni) ed i Greci cercano la sapienza…: sia i segni che chiedono i Giudei, sia la sapienza cercata dai Greci sono manifestazioni di potenza che contraddicono la croce di Cristo. La richiesta di segni arriva fino al momento della morte di Gesù: Il Cristo il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo (Mc 15,32); Gesù evita la gente che si lascia prendere dai segni: Allora la gente, visto il segno che Egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo", ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna tutto solo (Gv 6,14).
2) noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani: quello che predica Paolo non è un messia vittorioso, ma un messia debole e sconfitto. La predicazione della croce è il contrario di quello che gli uomini si attendono: è debolezza, non potenza. La croce di Cristo diventa "scandalo" per i Giudei perché essi cercano una giustizia non derivante dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così la pietra d’inciampo (inciampo = scandalo), come sta scritto: Ecco io pongo in Sion una pietra di scandalo ed un sasso d’inciampo; ma chi crede in lui non sarà deluso (Rom 9,33).
3) Predichiamo Cristo, sapienza di Dio e potenza di Dio: attraverso la debolezza della croce di Cristo si compie la salvezza degli uomini e dunque si manifesta la potenza di Dio; infatti Egli fu crocefisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E dunque noi che siamo deboli in Lui, saremo vivi con Lui per la potenza di Dio nei nostri riguardi (2Cor 13,4).
4) Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini: alla sapienza autosufficiente dell’intelletto umano si oppone la sapienza del disegno di Dio, che si manifesta in nel mistero pasquale di Cristo; la parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio (v. 18).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
"I Giudei chiedono i miracoli ed i Greci cercano la sapienza". Sono queste le due grandi obiezioni, una proveniente dal mondo ebraico, l’altra da quello pagano, che Paolo sente rivolte alla sua predicazione, fondata sulla croce di Cristo. Sono obiezioni ancora oggi dominanti e ben presenti dentro di noi. Occorre pertanto non ridurne il significato per meglio comprenderne la portata.
La richiesta dei "giudei" non è solo quella di osservare dei grandi prodigi. In realtà essi chiedono di vedere i "segni" della venuta del Messia, cioè dell’efficacia storica tangibile della predicazione in ordine all’avvento di un’era di pace e giustizia. Ma come conciliare questa richiesta con la croce e con lo spettacolo che offre la storia del mondo? I "greci" invece sono l’apice di una grande cultura raffinata e disincantata, che si propone di potenziare al massimo le facoltà dell’individuo; non credono alle utopie, ma cercano vie razionali per l’esercizio del potere. In questa ottica, ancora di più, ogni riferimento alla croce come alternativa alla sapienza del mondo è follia.
Paolo non risponde alle obiezioni con una apologia della fede cristiana, che cerchi di renderla più accettabile agli oppositori. Egli sa che la risposta vera è quella di liberare tutta la potenza del lieto annunzio ai poveri di cui è divenuto banditore, che non teme alcun giudizio, essendo divenuto il vero giudizio di tutta la storia. La potenza della croce di Gesù, fondamento di questo lieto annunzio, viene presentata dalle scritture come il compimento della rivelazione ricevuta dal popolo d’Israele sul Sinai. Le "dieci parole"che su questo monte vengono promulgate costituiscono Israele, primizia di tutta l’umanità, in una responsabilità infinita verso l’"altro", sancita dai comandamenti.
Non si tratta di un semplice codice, ma di una realtà sconosciuta ai greci e peculiare al popolo ebraico, perché l’osservanza dei doveri verso il prossimo è il modo dato ad Israele per ricordare con gratitudine la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. La santità di Dio, che dimora nel tempio di Gerusalemme, esige la santità del popolo, espressa nella giustizia verso l’"altro", che costituisce la sostanza del culto ebraico. È una giustizia tuttavia che ha ancora dei limiti: l’elezione del giusto deve diventare pienamente l’elezione del peccatore e del pagano, l’elezione di tutta la povertà dell’uomo, per essere la grande rivoluzione che agisce con potenza nella storia, non cancellandone magicamente gli aspetti negativi, ma sottomettendoli alla propria dinamica.
Per questo il vecchio tempio con i suoi sacrifici "simbolici" di animali deve scomparire di fronte al nuovo tempio reale costituito dal corpo del "povero". Il corpo crocifisso di Gesù, appeso tra i ladroni, è la primizia di questa nuova "economia" della storia che privilegia i "malati", cioè tutti gli uomini accolti nella loro debolezza. Non più l’uomo come volevano i greci, ma il povero e la vittima sono la misura di tutte le cose. Nessuna cultura è respinta, ma tutte le culture sono chiamate a farsi piccole e ad accettare di perdere la loro compattezza, per accogliere la piccolezza del povero presente nell’"altro".
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