11 Dicembre 2005
III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)
Giovanni 1,6-8.19-28
6
Venne un uomo mandato da Dio | e il suo nome era Giovanni. | 7 Egli venne come testimone | per rendere testimonianza alla luce, | perché tutti credessero per mezzo di lui. | 8 Egli non era la luce, | ma doveva render testimonianza alla luce.19
E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?". 20 Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo". 21 Allora gli chiesero: "Che cosa dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose: "No". 22 Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?". 23 Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia". 24 Essi erano stati mandati da parte dei farisei. 25 Lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". 26 Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27 uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo".28
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.1) Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni: questo inizio così solenne può essere considerato come il titolo del brano evangelico di questa Domenica: Giovanni è l’inviato di Dio, la sua stessa persona è l’avvenimento, il suo nome gli è stato dato dall’angelo quando è apparso a Zaccaria suo padre: "tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni". (Lc 1,13).
2) Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce: il compito di Giovanni è quello di rendere testimonianza alla luce che è Cristo: "Io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". (Gv 8,12).
3) Perché tutti credessero per mezzo di lui, (cioè attraverso di lui): in quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo convertitevi perché il regno dei cieli è vicino’. (Mt 3,1-2).
4) I giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: non si tratta di gente qualunque: sono sacerdoti e leviti, quindi esperti della legge.
5) Egli confessò e non negò, e confessò "io non sono il Cristo": Da parte di Giovanni vi è una triplice dichiarazione: dice di non essere né Elia, né il profeta, né il Cristo; si definisce dicendo quello che non è, negando cioè se stesso, la propria individualità. Egli è voce, grido, colui che indica chi deve venire, avendo raccolto l’invito di Isaia: "preparate la via del Signore". (Is 40,3).
6) Perché dunque battezzi? Alle obiezioni dei suoi interlocutori che confidano nella loro autorevolezza di esperti della legge, il Battista ancora una volta risponde facendosi piccolo: "io battezzo con acqua…ma dopo di me viene uno al quale non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo". (v. 26-27).
7) Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano. Questa precisazione storico-geografica indica il calarsi dell’intervento di Dio nella storia degli uomini in un luogo ed un tempo precisi che per questo, nonostante l’apparente insignificanza, assumono un rilievo universale.
Isaia 61,1-2.10-11
1
Lo spirito del Signore Dio è su di me | perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; | mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, | a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, | a proclamare la libertà degli schiavi, | la scarcerazione dei prigionieri, | 2 a promulgare l’anno di misericordia del Signore.10
Io gioisco pienamente nel Signore, | la mia anima esulta nel mio Dio, | perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, | mi ha avvolto con il manto della giustizia, | come uno sposo che si cinge il diadema| e come una sposa che si adorna di gioielli. | 11 Poiché come la terra produce la vegetazione | e come un giardino fa germogliare i semi, | così il Signore Dio farà germogliare la giustizia | e la lode davanti a tutti i popoli.1) Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione: chi parla è il consacrato del Signore , il suo Unto, sul quale riposa lo Spirito. L’unzione regale e sacerdotale(cfr. Es 30,25) lo santifica rendendo presente in Lui la potenza divina: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia a preferenza dei tuoi eguali (Sal 45,8); cospargi di olio il mio capo (Sal 22,5).
2) Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri… l’anno di misericordia del Signore: l’Unto del Signore, il suo servo (cfr Is 42,1) è incaricato da parte di Dio della missione di proclamare a quanti sono in attesa la "buona notizia" dell’intervento della potenza divina per guarire le ferite dei cuori tribolati e per offrire libertà e luce agli uomini prigionieri del peccato e delle tenebre di morte; di inaugurare un tempo nuovo, di grazia e di misericordia, nel quale tutti gli afflitti trovano consolazione.
3) Io gioisco pienamente nel Signore… come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli: l’attesa del Signore è un’attesa piena di gioia, di letizia e di esultanza che non viene da una fiducia riposta nelle risorse umane, ma in ciò che il Signore compie. Dio stesso si riveste di questa gioia per fare festa con il suo popolo, perché il dono della salvezza è offerto ai suoi figli che ritornano a lui. Questa gioia, tutta nuziale, è prima dello Sposo, poi della Sposa, che viene da lui rivestita (cfr. Ez. 16,9-14), adornata, resa bella e perfetta per la gloria del suo signore che riposa su di lei: Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa. (Sof 3,17); Una grande gioia mi viene dal Santo per la misericordia che presto vi giungerà dall’Eterno vostro salvatore.(Baruc 4, 22).
4) Poiché come la terra produce la vegetazione… cosi il Signore Dio farà germogliare la giustizia…: è il Signore soltanto che trasforma il deserto in giardino (cfr Is 35,1.2) quando fa sorgere dal cuore inaridito dell’umanità la giustizia e il canto di lode gioiosa: Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa; Signore, mio Dio, ti loderò per sempre. (Sal 30,12).
1 Tessalonicesi 5,16-24
16
Fratelli, state sempre lieti, 17 pregate incessantemente, 18 in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. 19 Non spegnete lo Spirito, 20 non disprezzate le profezie; 21 esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. 22 Astenetevi da ogni specie di male.23
Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. 24 Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!1) State sempre lieti, pregate…in ogni cosa rendete grazie…non spegnete lo Spirito…: viene sempre usato l’imperativo per significare che questa parola di Dio è un comando che siamo chiamati ad adempiere per essere conformi alla Sua volontà: Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15,10). Occorre rimanere di fronte agli accadimenti della vita in un atteggiamento di gioiosa gratitudine verso il Padre ringraziandolo in ogni cosa ed in ogni condizione dell’esistenza.
2) Pregate incessantemente: la preghiera genera la comunione nella Chiesa facendo crescere le persone nella figliolanza e nella fraternità; secondo l’insegnamento di Gesù la preghiera è un atto vitale per rimanere in comunione con il Padre: Tu, invece, quando preghi, entra nella tua camera e prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. (Mt. 6,6). La volontà di Dio, che in Gesù ci viene pienamente rivelata, è che i suoi figli perseverino con gioia in una preghiera ed in un rendimento di grazie incessanti.
3) Non spegnete lo Spirito: Lo Spirito non deve essere soffocato, occorre lasciarlo bruciare ed alimentarlo. È attraverso il dono dello Spirito infatti che siamo costituiti figli di Dio e possiamo testimoniarlo: Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio…perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito (Rom 8, 3-4).
4) Tutto quello che è vostro Spirito, anima e corpo si conservi irreprensibile: nulla può essere sottratto al Signore. A lui apparteniamo totalmente e solo attraverso di lui possiamo essere trasformati e trasfigurati. La garanzia di poter seguire i comandamenti del Signore non è fondata sulle nostre capacità, ma sulla Sua fedeltà (cfr. v 24); per questo la speranza non può essere delusa: La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.(Rom 5,5).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Solo la gioia del povero può essere vera perché la povertà è elemento costitutivo della condizione di ogni uomo. Una gioia che avesse la pretesa di eliminare il dolore, il male, l’incertezza del futuro ed infine la povertà della condizione umana sarebbe menzogna od utopia. La gioia vera ci chiede invece di non respingere nessun segmento della nostra vita, di non mettere da parte nessuna nostra povertà, perché i luoghi dell’esistenza apparentemente meno adatti ad accoglierla sono la sede privilegiata della sua manifestazione.
La gioia del povero è tale che egli stesso non la può definire, circoscrivere o divenirne padrone: irrompe nell’umiliazione rovesciandola in modo tale che gli stessi segni della sofferenza, che indicavano prima una situazione di prigionia, vengono trasfigurati (non eliminati) per diventare ornamenti nuziali, tanto più splendidi quanto più manifestano l’intima trasformazione di una vita altrimenti perduta.
È una gioia dunque che cambia radicalmente la sorte del povero, perché la condizione di patimento di ogni uomo è ormai divenuta la culla di una gioia senza misura, cui basta un istante per compiersi e dilatarsi, riempiendo di sé tutti i tempi e gli ambiti dell’esistenza. Si tratta di un evento vittorioso contro ogni contraddizione, che si impone per ciò che è; per questo ci si può "rallegrare sempre" ed essere sempre nella pace.
Tutto questo è possibile perché la gioia non è tanto un sentimento, necessariamente in balia della nostra fragilità, quanto una persona viva che ci fa visita, una relazione con altri, un gesto di amore, che ci chiede solo di lasciarci afferrare dall’incontro, dimenticando noi stessi. Si tratta da parte nostra di compiere un atto di verità che è riconoscimento delle nostre molteplici povertà, confessione del nostro "non essere", per "essere" invece quali la relazione con l’altro ci costruisce.
Tale abbandono è richiesto anche dalla stessa povertà degli strumenti di cui si serve la visita che riceviamo: la gioia ci raggiunge infatti come "buona notizia" della gioia, ci è data cioè attraverso l’umiltà della parola umana, la sua eloquenza ed il suo silenzio, che molto facilmente possono essere soverchiati da altre voci o da ricerche di manifestazioni di potenza. La "parola" e la voce che la fa risuonare non sono solo momenti di preparazione della gioia, ma ne costituiscono già una comunicazione, ne sono un tramite necessario. In questo senso è proprio vero che tutti sono raggiunti dalla speranza "per mezzo" suo.
La povertà della "parola", anche se può deludere la nostra mancanza di pazienza, proprio in virtù della sua debolezza permette che ogni povertà venga visitata e raggiunta dalla sua testimonianza, dalla delicatezza di una relazione, che non esige condizioni preventive e non aggredisce la condizione ferita cui si rivolge.
Anche chi è stato così visitato può diventare a sua volta testimone ed annunziatore della gioia a vantaggio di altri se si mantiene fedele all’umiltà della parola di cui è divenuto banditore, confessando la sua piccolezza, il suo "non essere" di fronte alla notizia di cui è portatore e che è molto più grande di lui per la dinamica e la crescita senza limiti, verso una pienezza che vuole accogliere e consolare ogni povertà, ogni persona, ogni generazione.
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