14 Maggio 2006

DOMENICA V DI PASQUA (ANNO B)

 

Giovanni 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "1 "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.

4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".

1) Io sono la vera vite e il Padre mio il vignaiolo: Dio è il vignaiolo, l’agricoltore paziente che ha piantato la sua vite nel mondo perché porti il frutto dolce della carità. Nel Sal 79(80) la "vigna" è Israele, oggetto delle cure premurose di Dio; in Is 5 da questa vigna il Signore si aspettava giustizia, ma riceve spargimento di sangue e grida di oppressi. Gesù riprende le immagini antiche e le fa convergere su di sé: è lui la vite vera, che trasmette ai tralci la linfa della vita, che Lui stesso riceve da Dio; il Suo rapporto con il Padre è infatti di totale dipendenza e di perfetta filiazione.

2) Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto: non si tratta di castighi, ma di operazioni necessarie, perché la vite con i suoi tralci porti sempre più frutto.

3) Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato: l’ascolto della parola ha un’azione purificatrice, rende mondi, "potati". I termini richiamano il rito della purificazione del lebbroso: quando il sacerdote dichiarava mondo il lebbroso, questi, purificato, era riammesso nel popolo (cfr. Lv 13,17).

4) Io sono la vite, voi i tralci; chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto: come il tralcio porta frutto solo se attaccato alla vite, così anche i discepoli di Gesù portano frutti solo per la comunione con Lui: chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi (Gv 14,12).

5) Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca: la sorte del tralcio che viene bruciato mostra l’impossibilità di esistere del tralcio al di fuori della vite. Il giudizio si compie sul tralcio che non rimane attaccato alla vite e si manifesta nell’inaridimento e nella non fecondità.

6) Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi…: stare con il Signore è stare con la sua Parola, rimanere nel Signore è rimanere nella Parola: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà (Gv 14,23).

7) In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli: la gloria del Padre è tutta nel Figlio (ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in Lui Gv 13,31) e nei figli che, innestati, come tralci nella vera vite, sovrabbondano di frutti e diventano suoi discepoli. Il frutto della carità e dell’obbedienza dà gloria alla sapienza e alla magnanimità del vignaiolo.

 

Atti 9,26-31

In quei giorni, Paolo, 26 venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo.

27 Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28 Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore 29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. 30 Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso

31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo.

1) Cercava di unirsi con i discepoli: a differenza di quanto affermato da Paolo stesso in Galati 1,17-20, Luca colloca il primo viaggio di Paolo a Gerusalemme poco tempo dopo la sua conversione, mettendo in evidenza l’unità della missione evangelizzatrice della Chiesa, che, pur destinata con Paolo a raggiungere uomini di ogni razza e cultura, parte proprio da Gerusalemme. In Gerusalemme ha avuto il suo culmine e il suo compimento la missione di Gesù, è dunque qui che si è pienamente realizzato e ha preso il via il mistero della comunione del corpo ecclesiale. Il verbo utilizzato per descrivere i tentativi di Paolo di inserirsi nella comunità dei discepoli è forte e indica il desiderio di un’adesione intima, nuziale.

2) Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli (lett. Barnaba, preso(lo), lo portò): nella comunione della Chiesa si entra portati, cioè piccoli (cfr. il paralitico portato da quattro persone in Mc 2,3). È coraggioso il gesto di Barnaba che aiuta il nuovo arrivato, guardato con sospetto dagli. Si intravede tra le righe l’ammirazione di Luca per Barnaba, il quale qui è veramente il figlio della consolazione (cfr. 4,36), che accoglie ed incoraggia, facendosi mediatore dell’opera dello Spirito Santo.

3) Raccontò loro: di fronte alla diffidenza degli altri fratelli, che non credevano che Paolo fosse un discepolo, la testimonianza di Barnaba riguarda proprio l’essere discepolo di Paolo, cioè come egli abbia incontrato Gesù ed ascoltato la Sua parola, lasciandosi trasformare da essa.

4) Aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù: il verbo, ripreso anche nel versetto successivo, esprime la libertà e l’audacia di Paolo nel parlare.

5) Tentarono di ucciderlo: la franchezza di Paolo gli permette di essere accettato dai discepoli (continuò a restare con loro), ma scatena il rifiuto del mondo (cfr. Gv 15,21: tutto questo vi faranno a causa del mio nome).

6) I fratelli lo condussero a Cesarea: come già a Damasco (9,23-25), Paolo deve fuggire, e nuovamente i suoi salvatori sono coloro che un tempo egli perseguitava. La custodia sollecita operata dai fratelli è per Paolo segno della nuova vita di comunione che egli vive ora in Cristo. In questo senso davvero, come afferma in tono conclusivo il versetto 31, la Chiesa è, in mezzo alle persecuzioni in pace, cioè nella carità.

7) Essa cresceva e camminava nel timore del Signore colma del conforto dello Spirito Santo: il versetto conclusivo attribuisce all’opera dello Spirito il progredire della Chiesa.

 

1^ Giovanni 3,18-24

18 Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. 19 Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore 20 qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. 21 Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; 22 e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui.

23 Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24 Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

1) Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua: Gesù in Gv 13,33-34 chiama i suoi discepoli figlioli prima di consegnare loro il comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi.

2) Ma con i fatti e nella verità (lett. in opera e verità): l’opera è quella della fede (cfr. Gv 6,28: Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Gesù rispose: Questa è l’opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato); d’altra parte, nei versetti 16-17, che precedono il testo liturgico, l’opera da compiere è quella compiuta da Gesù stesso: Egli ha dato la sua vita per noi e anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli; la fede e la carità sono dunque un’unica opera. La verità, poi, è Gesù stesso: Io sono la via, la verità, la vita (Gv 14,6); Egli comunica ai suoi lo Spirito di verità, che li guiderà alla verità tutta intera (Gv 16,13).

3) Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa: davanti alla fragilità e all’infedeltà del cuore dell’uomo Dio si muove con la misericordia e il perdono, elargiti nel dono del suo Figlio Gesù, morto una volta per sempre,… giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio (1Pt 3,18). Per questo, i credenti sono coloro che possono accostarsi a Dio con piena fiducia… per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno (Eb 4,16).

4) osserviamo i suoi comandamentiquesto è il suo comandamento: che crediamo… e ci amiamo: i comandamenti sono tutte le parole consegnate dal Figlio ai suoi da parte del Padre (cfr. Gv 17,8: Padre,… le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato) e sono la via per rimanere nel suo amore. Il dono di Dio precede sempre ed in esso il credente confida, non potendo fare affidamento su forze o giustizia proprie. È questo il motivo della sua sicurezza e fiducia in Dio (v. 21).

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

"Io sono la vera vite… Io sono la vite, voi i tralci". Siamo nella notte del tradimento, quando Gesù dice ai suoi discepoli queste parole di addio e di consolazione. Nel momento della prova e della passione, Gesù afferma che lui "è" e perciò anche noi "siamo". È la proclamazione della condizione filiale e nuziale in cui ogni uomo è posto perché innestato nella "vite vera", datrice di vita con la sua linfa; condizione questa che non viene meno, neppure di fronte alla prova suprema della passione, ma che proprio allora raggiunge la sua pienezza. A questa condizione filiale, fondata su un amore tanto forte da negare e superare radicalmente la solitudine della morte e dell’inimicizia, si può soltanto essere generati dall’"altro".

Non è un obiettivo da raggiungere, una pietosa illusione romantica che vuole restituire un cuore fittizio ad una realtà desolata e neppure una forma di essere in cui occorre entrare, ma è una realtà che ci precede e ci nutre e da cui si può solo esser afferrati. Notizia questa liberante perchè "laicamente" ci allontana, secondo la grande tradizione ebraico-cristiana, dalle "religiosità mondane", sia da quelle fondate sullo sforzo morale e perciò riservate ai "forti", sia da quelle protese, in modo alienato, "al di là della vita", così come questa è data concretamente nel rapporto con l’"altro", alla ricerca di un solitario ed inutile risarcimento per il dramma dell’esistenza. La condizione del "tralcio" è invece adatta a tutti e felicemente umile: il tralcio non ha bisogno di radici proprie in quanto dipende dall’altro, ma proprio per questo sfugge alla sorte triste dell’erba, cui altrimenti sarebbe destinato nella sua solitudine: "Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria come il fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce..". Mentre la gloria finisce, rimane solo la parola dell’amore, la "conversazione d’amore" che intreccia la nostra vita con quella di tutti gli uomini.

Di questa conversazione non siamo noi gli "inventori" e per questo il nostro "fare" è piuttosto un "restare nell’amore". Questo rimanere è gioire della nostra piccolezza di fronte all’altro, perfino della nostra meschinità, è gioire del nostro diminuire perché lui cresca, è restare in attesa della sua parola rispettandone la libertà, cogliendone anche i sussurri. Rimanere è rimanere nella gioia dell’essere voluti bene e del nostro voler bene che ne scaturisce, con sobrietà, di fronte alle passioni ed alle tempeste della vita. Il rimanere è nello stesso tempo pienezza di passione e di azione vera, anzi unica via di fecondità. Non vi sono in questo cammino certezze preventive o conferme esteriori, se non quelle, decisive, che ci vengono da parte dello "spirito dell’amore", che solo può confermare il nostro cuore, "qualunque cosa esso ci rimproveri", perché "l’amore copre una moltitudine di peccati".

Si deve riconoscere che è un’ avventura adatta ai piccoli e nello stesso vicenda grande, magnifica e terribile, perché il tralcio può non rimanere nella vite, ma può staccarsi, seccarsi ed essere gettato nel fuoco: questo lo so del tralcio che sono io, mentre nulla posso dire degli altri tralci, se non di essere fermamente convinto della loro appartenenza alla vite, pena disperare per la mia stessa appartenenza. Veramente la relazione d’amore con l’altro è la vita o il luogo dove l’esistenza può perdersi senza appello, dato che abbiamo una sola vita da vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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