29 Ottobre 2006

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Marco 10,46-52

46 In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47 Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". 48 Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".

49 Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!". 50 Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!". 52 E Gesù gli disse: "Va’, la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

1) Mentre partiva da Gerico…il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco… sedeva lungo la strada a mendicare: Gesù lascia Gerico per salire a Gerusalemme. La strada che percorre è la stessa lungo la quale il buon samaritano ha incontrato l’uomo "incappato nei briganti" e se ne è preso cura (Cfr. Lc 10,29-37). Lungo questa strada siede il cieco mendicante, di cui l’evangelista riferisce il nome. La cecità fisica era segno d’impurità cultuale nell’Antico Testamento (Cfr. Lev 21,18), ma Gesù offre la comunione ai ciechi, invita a dare loro ospitalità: il padrone disse al servo: esci subito per le piazze… e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi (Lc 14,21). Le molte guarigioni dei ciechi operate da Gesù sono segni messianici: Andate e riferite a Giovanni ciò che voi vedete ed udite: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano…ai poveri e predicata la buona novella (Mt 11,5). Gesù luce del mondo è venuto ad illuminare ogni uomo (Cfr. Gv 1,10) e non è estraneo alla miseria umana che prende su di sé con l’incarnazione e la trasforma nella sua gloria. Il Figlio di Dio è sceso nella nostra umiliazione per risanare con la sua misericordia chi è reso cieco dalla lontananza da Dio e mendicante, perché bisognoso di fede, di speranza, di carità.

2) Costui al sentire che c’era Gesù… cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, abbi pietà di me": L’accoglienza dell’annuncio della presenza di Gesù in mezzo al suo popolo suscita il grido della supplica: dal profondo a Te grido, Signore! Signore ascolta la mia preghiera! (Sal 129). Gesù è il Figlio di Davide, il Messia atteso, l’unico Salvatore del mondo.

3) Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte… Allora Gesù si fermò e disse:"chiamatelo!"… Egli, gettato via il mantello,… venne da Gesù: la preghiera fiduciosa e perseverante del cieco incontra l’incredulità e la durezza degli altri, ma la vince, facendo tacere tutte le voci contrarie al suo incontro personale con il Signore, che invece si ferma e lo chiama a sé. Questo ci riconduce alla grazia del Battesimo, per il quale, deposta la vita vecchia, si è chiamati alla luce vera e introdotti nella vita nuova.

4) Allora Gesù gli disse: "che vuoi che io faccia?" E il cieco a Lui: "Rabbonì, che io abbia la vista" e Gesù gli disse: "va la tua fede ti ha salvato". La sete di salvezza dell’uomo viene colmata solo dalla misericordia del Signore: la potenza dello Spirito Santo, che opera mediante la fede, apre gli occhi alla luce della Rivelazione dell’amore di Dio e dona la forza e la gioia di seguire Gesù lungo la strada della carità per giungere con Lui alla Gerusalemme del cielo.

 

Geremia 31,7-9

7 Così dice il Signore: | "Innalzate canti di gioia per Giacobbe, | esultate per la prima delle nazioni, | fate udire la vostra lode e dite: | Il Signore ha salvato il suo popolo, | un resto di Israele".

8 Ecco li riconduco dal paese del settentrione | e li raduno all’estremità della terra; | fra di essi sono il cieco e lo zoppo, | la donna incinta e la partoriente; | ritorneranno qui in gran folla. | 9 Essi erano partiti nel pianto, | io li riporterò tra le consolazioni; | li condurrò a fiumi d’acqua | per una strada dritta in cui non inciamperanno; | perché io sono un padre per Israele, | Efraim è il mio primogenito.

1) Dice il Signore: "Innalzate canti di gioia per Giacobbe": Il comando di esultare è dato a motivo dell’elezione: Israele deve gioire in quanto, pur essendo il popolo più piccolo, è diventato la prima delle nazioni, perché Dio lo ha scelto: Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe che io ho scelto… sei tu che io ho preso dall’estremità della terra (Is 41,8-9).

2) Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele: poiché il Signore ama il suo popolo, per pura Sua misericordia ne salva un piccolo resto, che sfugge alla spada degli invasori: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sodoma (Is.1,9). Chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato santo (Is 4,3).

3) Ecco li riconducoe li raduno. Questi due verbi indicano le azioni tipiche del pastore: portare le pecore al loro proprio luogo, da cui si erano allontanate, radunarle e raccoglierle insieme dopo la dispersione; così fa il Signore con il suo popolo: come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna (Is 40,11).

4) Fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: Vengono citate categorie di persone inadatte al viaggio, proprio per sottolineare che sono l’amore del Padre e la potenza della Sua misericordia a condurre e guidare il gregge.

5) Li ricondurrò a fiumi d’acqua: nel primo esodo il popolo d’Israele nel deserto fu dissetato dall’acqua scaturita dalla roccia per mano di Mosè, nel secondo esodo con ben più grande abbondanza scorrono fiumi d’acqua, segno dei tempi messianici. Gesù per esprimere questa sovrabbondanza dice: l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).

6) Perché io sono un Padre per Israele: il Signore che riconduce e raduna il suo popolo con braccio potente si rivela nel suo essere più profondo come un Padre: sarò per voi come un padre e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente (2 Cor.6,18).

 

Ebrei 5,1-6

1 Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2 In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; 3 proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo.

4 Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. 5 Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato". 6 Come in un altro passo dice: "Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek".

1) Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio: come nel sacerdozio levitico, così nel sacerdozio messianico di Cristo il sacerdote è solidale con l’umanità da cui proviene. In Gesù tuttavia questa solidarietà raggiunge la sua pienezza: egli è scelto come sacerdote affinché offra se stesso ed, attraverso la sua offerta, tutti appartengano al Padre nella unità della comunione d’amore e nella partecipazione al mistero della Sua misericordia: Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro (Cfr. 1Cor 9,22-23). Il bene degli uomini risiede in Dio e nelle cose che riguardano Lui, perché, come dice il salmo, "solo in Dio riposa l’anima mia"(Sal 62,6).

2) È in grado di sentire giusta compassione… essendo anch’egli rivestito di debolezza: il sommo sacerdote è il Cristo perché, molto di più dei sacerdoti secondo la legge, ha assunto tutte le nostre miserie e il nostro peccato nella debolezza della croce. La potenza del Signore è frutto di questa Sua debolezza per cui Egli si spoglia di tutto, si fa servo e si rende piccolo per lasciare spazio all’amore di Dio: egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità (Is 53,4-5). Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10,44-45).

3) Proprio a causa di questa [debolezza] anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo: se coloro che secondo la legge erano sacerdoti, per i loro stessi peccati condividevano con il popolo la condizione di peccatori, molto di più la condivide il Cristo che, pur non avendo conosciuto il peccato, Dio… trattò come peccato (2 Cor 5,21). Pertanto anche noi, resi partecipi di questo mistero attraverso il dono dello Spirito, siamo chiamati, unendoci al Suo sacerdozio ed alla Sua passione, ad offrire i nostri corpi per conformarci alla grazia che ci ha prevenuto: vi esorto fratelli, per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rom 12,1).

4) Nessuno può attribuire a sé stesso, questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote: I sacerdoti secondo la legge erano tali non per loro iniziativa, ma perché discendenti di Aronne, costituito sacerdote da Dio insieme alla sua progenie (Cfr. Nm. 18,1). Questo in modo più pieno vale per Gesù che è sacerdote non per la sua discendenza da Aronne, ma perché pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo… Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome (Fil 2,6 segg.). Del sacerdozio non ci si può dunque vantare essendo dono di Dio e, come per Gesù, così anche per noi il dono ricevuto non può essere posseduto come un bene proprio, ma deve essere testimoniato per il bene dei fratelli: come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui [Dio]? E come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? (Rm 10,14).

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

"Cosa vuoi che io faccia per te?", "Signore, che io veda": questo dialogo di Gerico ci giunge, con le letture di questa domenica, dentro un arco di tempo e di avvenimenti ben grande. Il "ritorno" che Dio prepara ad Israele dopo il primo esilio (quello assiro, poi verrà quello babilonese): cammino di gioia che comprende ciechi e zoppi, incinte e partorienti, tutti richiamati dal pianto e trasformati a vita nuova. Il sacerdozio che ci salva è quello di Cristo, ma nell’Epistola agli Ebrei è detto ancora con il nome del Sacerdote-Re Melchisedech, che offrì pane e vino ad Abramo in una delle pagine più misteriose della storia biblica. Grandi avvenimenti, storici se pure misteriosissimi, carichi di simboli della fede ebraico-cristiana, la quale è giunta fino a noi, appunto attraversando un grandissimo arco di tempo, che da Abramo a Gesù e dagli apostoli a noi, è lungo non meno di 4000 anni: circa la metà del tempo che noi diciamo e conosciamo "storico", in ragione delle testimonianze anche scritte che ce ne parlano e nelle quali, in qualche modo, lo possiamo "vedere".

Il dialogo tra questo cieco e Gesù si svolge a Gerico, nome di una città spesso fatale (forse la più antica, ci dice l’archeologia), le cui mura gigantesche caddero al suono della tromba di Giosuè; città e oasi dolcissima, da cui il Signore passa per salire a Gerusalemme per l’ultima volta andando incontro alla sua ora, di passione per lui e di salvezza per noi. Qui il cieco di questa mattina lo sente passare, e si fa sentire a sua volta, con audacia ripresa e rimbrottata dai discepoli e dai concittadini. Ma Gesù lo chiama vicino egualmente, e dopo il dialogo intenso, lo accontenta e gli fa "vedere".

Anche noi, nei nostri pellegrinaggi parrocchiali, siamo stati più volte a Gerico, a vi abbiamo visto e sentito cose belle e di grande speranza. Anche da don Giuseppe Dossetti, che a Gerico visse alcuni anni molto importanti, e non brevi, della sua vita di ricerca e di fede attiva, esigente risposte decisive. Vi si era ritirato, per intuizione di fede, dopo le esperienze complesse e delusive degli anni 50 nella vita politica italiana ed europea; e dopo quelle, grandi ma anche dolorose (così le sentì e capì), vissute dalla Chiesa lungo gli anni 60 del Concilio e Postconcilio. A Gerico don Giuseppe ebbe incontri significativi, con cristiani, ebrei e musulmani, e vi svolse meditazioni importanti (che ora vengono emergendo dalla pubblicazione postuma dei suoi testi); ne ebbe a parlare un poco anche con noi, comunicandoci quella "luce che non tramonta", come ci diceva guardando verso Gerusalemme e verso Gesù, e facendoci sentire vero che "alla tua luce vediamo la luce".

Con il cieco di Gerico torniamo oggi a chiedere, con forza: "Signore, che io ci veda". Che noi, dentro la nostra lunga e anche strana storia di fede, si veda il Signore che passa e sale alla sua ora. Che noi si veda come proprio "questo" vedere corregge opere ed errori, nostri e di tutti, quotidiani e perenni. Quel "vedere" intelligente che era già proprio del cieco che seppe pregare, e che invece, purtroppo, manca spesso a noi e a tanti, quando ci illudiamo di vedere bene, sopravvalutando di molto acutezza e valore dei nostri sguardi, sempre mediocri e confusi, quando non torbidi e cattivi. "Signore che io ci veda", cominciando ogni giorno a vedere con fede la fede.

 

 

 

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