7 Maggio 2006
DOMENICA IV DI PASQUA (ANNO B)
Giovanni 10,11-18
In quel tempo, Gesù disse: "
11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.14
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.17
Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".1) Io sono il buon pastore (lett. Io sono il pastore, quello buono): Gesù è il pastore buono, quello annunciato dai profeti, come in Ez 34,15 (Dice il Signore Dio: Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare… le pascerò con giustizia). È Dio stesso che si offre in Gesù come pastore per la salvezza del suo popolo.
2) Il buon pastore offre (lett. pone) la vita per le pecore. Il mercenario, invece… non gli importa delle pecore: la vita del pastore buono è "posta", cioè tutta offerta come in un atto di culto per le sue pecore, a differenza dei pastori mercenari che hanno pasciuto loro stessi e disperso il gregge (cfr. Ez 34,5: Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate…).
3) Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: è affermato ripetutamente il rapporto di appartenenza delle pecore al pastore (al mercenario invece… le pecore non appartengono: v 12), come vi è una relazione di "conoscenza" (amore) reciproca fra il pastore buono e le pecore (cfr. Gv 13,1: Gesù dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine). Questo rapporto fra il pastore e le pecore è talmente forte che Gesù lo paragona a quello che c’è fra lui e il Padre: come tu, Padre, sei in me e io in te (Gv 17,21).
4) E ho altre pecore, che non solo di questo ovile: anche le pecore disperse in tutto il mondo e che non sono del suo ovile gli appartengono ed anche quelle saranno condotte, poiché il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli (Mt 18,14).
5) Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore: l’ascolto è il primo comandamento di Dio al suo popolo (Ascolta Israele: Dt 6,4) e dall’ascolto della sua voce sarà riunito tutto il gregge con il solo Pastore. Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori (Gv 10,3).
6) Io offro la vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo: Gesù dona la vita non per perderla, ma per ritrovarla; infatti, se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna (Gv 12,24-25).
Atti 4,8-12
8
In quei giorni, Pietro, pieno di Spirito Santo, disse: "Capi del popolo e anziani, 9 visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, 10 la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. 11 Questo Gesù è "la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. 12 In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".1) Pietro, pieno di Spirito Santo, disse: Pietro e Giovanni sono stati arrestati e devono rispondere al Sinedrio della loro predicazione e della guarigione dello storpio alla porta del tempio. Pietro parla pieno (lett. riempito) di Spirito Santo; è quello stesso Spirito che ha guidato prima i profeti, poi Gesù ed infine i suoi discepoli (cfr Mc 13,11: quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato; poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo).
2) Nel nome di Gesù Cristo costui vi sta innanzi sano e salvo: la guarigione dello storpio è una salvezza completa, non solo fisica, avvenuta non per virtù magiche dei discepoli, ma per il nome di Gesù, il solo che può dare vita nuova. Cfr At 10,38: Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui.
3) Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti: è quanto con forza e coraggio anche nel capitolo precedente Pietro aveva affermato: le opere malvagie degli uomini, che hanno portato il Signore fino ad essere crocefisso, sono state sovvertite dall’opera di Dio, che ha resuscitato suo Figlio. Infatti, non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere (At 2,24).
4) Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, è diventata testata d’angolo: Dio non segue i pensieri degli uomini, ma tante volte li supera e previene col suo amore facendo fiorire situazioni negative o sterili. Così Gesù, pietra scartata, come dice il salmo 117, diviene la base per una nuova costruzione, il nuovo popolo di Dio, formato dall’Israele fedele e dalle Genti (cfr Ef 2,19: non siete più stranieri,né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù).
5) In nessun altro c’è salvezza: Pietro ricorda ancora che è il nome di Gesù che salva, e solo questo, tra tutti i nomi di uomini anche illustri e invita a invocare e lodare questo nome; Chiunque infatti invocherà questo nome sarà salvato (cfr. 2Tim 2,19).
1^ Giovanni 3,1-2
Carissimi, vedete 1 quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui.
2
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.1) Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e noi lo siamo realmente: l’invito dell’apostolo è a considerare quanto grande (lett. di quale sorta) sia l’amore con cui Dio gratuitamente ama. Lui stesso è amore (cfr. 4,15) e della sua paternità avvolge coloro che sono divenuti suoi figli per aver accolto il Verbo da Lui mandato (a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio Gv 1,12). Figli di Dio sono poi tutti quelli che sono guidati dal Suo Spirito (cfr. Rom 8,14), per mezzo del quale possono rivolgersi al Padre con piena fiducia (cfr. Rom 8,15: per mezzo del quale gridiamo Abbà, Padre!).
2) La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto Lui : il mondo non conosce il volto paterno di Dio, che solo il Figlio può rivelare (cfr. Mt 11,27), né la gratuità del suo amore, né quelli che ne sono l’oggetto, "gli amati"; per questo motivo li perseguita (cfr. Gv 15,21: tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato).
3) Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato; sappiamo però che quando egli si sarà manifestato noi saremo simili a Lui: la condizione di figli è già presente, ma la nostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3) e quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria (Col 3,4). Persino tutta la creazione attende con impazienza… di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rom 8,19-21).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Il "buon pastore" non fugge quando vede arrivare il lupo, ma pone la vita a salvezza delle sue pecore perché, a differenza del mercenario, "gli importa" del gregge. Questo "buon pastore" è un pastore del tutto speciale in quanto è caratterizzato non dall’abilità con cui esercita la sua opera, ma unicamente dall’offerta della vita per i "suoi". Anche il gregge è speciale: non preesiste all’atto d’amore del pastore, ma sembra costituirsi solo nel momento in cui il pastore depone la sua vita per lui. I "suoi" sono coloro che sono afferrati dall’amore del pastore. Solo allora infatti si stabilisce la "conoscenza" reciproca fra il pastore e le pecore, che è il vincolo costitutivo di questo gregge singolare, non fondato sulle leggi dell’economia ma su quelle dell’amore.
Inoltre paradossalmente la salvezza del gregge non è assicurata dalla forza militare del pastore in grado di uccidere il lupo, ma dal sacrificio della sua vita. La sconfitta del lupo, il fallimento del suo tentativo di disperdere le pecore, è infatti già tutta data nel riconoscimento da parte delle pecore del pastore in virtù del suo sacrificio: questo riconoscimento avviene da parte di tutte le pecore, anche delle altre, che non sono dell’ovile, perché altrimenti l’offerta della vita del pastore non sarebbe una novità nella storia ma la continuazione, magari in forma più raffinata, di quella di sempre, con le sue guerre, con le sue divisioni, le lotte fra i vari ovili, i suoi inutili eroismi. Tutto questo sarebbe ancora la vittoria del lupo.
La voce dell’amore invece raggiunge i cuori, dovunque si trovano, ed è ascoltata al di là di ogni distanza e diversità, senza il bisogno di creare imperi. Qui si contrappongono duramente non due morali ma due poteri, il potere del lupo di dare la morte e quello del pastore di dare la vita; la vittoria del "pastore buono" non è una "vittoria morale", ma una vittoria reale ottenuta in base al "potere di offrire la propria vita ed il potere di riprenderla di nuovo". Il lupo ed il pastore prezzolato non hanno questo potere.
Anche l’eroe non ha questo potere perché serve un "ideale" e non dà la vita per l’altro colto nella sua realtà, nella sua miseria. L’unico che ha questo potere dirompente è il pastore buono. Il suo è un potere reale perché scende in basso, è un potere duraturo perché non è solitario avendo la sua sorgente non nella grandezza e nella forza, ma nella comunione dei piccoli e dei deboli, che è la grande potenza realmente vincitrice nella storia. Per questo il pastore non perde la propria vita offrendola, ma attraverso questa offerta la salva. Il buon pastore per essere tale deve essere innanzitutto "figlio" di questa comunione, che è la grande potenza sottesa alle vicende della storia, vincitrice degli imperi collettivi ed individuali.
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