12 Febbraio 2006

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Marco 1,40-45

40 In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!". 41 Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!".

42 Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. 43 E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44 "Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro".

45 Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

1) Venne a Lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi": la guarigione qui è preceduta da una richiesta di aiuto. Questo incontro tra Gesù e il malato che chiede aiuto è diverso dalla immagine del Levitico, dove il lebbroso non può sperare in un sostegno, ma è chiamato a vivere da solo la propria condizione: Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento (cfr. Lv 13,46).

2) Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci": Gesù è la novità, non allontana il lebbroso che era segno di impurità (Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo Lv 13,45), ma lo accoglie e, toccandolo, si fa partecipe della sua impurità; per questo il vangelo si conclude con l’immagine di Gesù che se ne sta fuori, in luoghi deserti.

3) Guarda di non dir niente a nessuno: Gesù insiste sul silenzio (anche il cieco di Betsaida lo rimanda a casa dicendo: "Non entrare nemmeno nel villaggio" cfr. Mc 8,26), affinché il popolo non si concentri sul miracolo, che è solo un segno, ma sul vero messaggio della venuta del Regno di Dio; infatti il popolo aveva un’idea trionfalistica del Messia, che non corrispondeva a quella che Gesù insegnava.

4) Ma va’, presentati al sacerdote: cfr. Lv 13,43 Il sacerdote lo esaminerà… quel tale è un lebbroso; è immondo e lo dovrà dichiarare immondo. Gesù chiede al lebbroso guarito la sottomissione al giudizio del sacerdote: la lebbra dell’orgoglio è vinta dall’umiltà della sottomissione alla legge antica e ai suoi rappresentanti; anche Gesù è venuto "sotto la legge" (Gal 4,4), per riscattare coloro che erano sotto la legge.

 

Levitico 13,1-2.45-46

1 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: 2 "Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli.

45 Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! 46 Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento".

1) Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola: è lo stesso Levitico che, dopo aver elencato tutta la casistica relativa, dà la motivazione di queste norme: questa è la legge per ogni sorta di infezione di lebbra… per insegnare quando una cosa è immonda e quando è monda (Lv 14,54-56); la legge dunque serve per discernere ciò che è adatto al culto, cioè per essere offerto, perché tale culto sia gradito a Dio.

2) Quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne: anche in Dt 24,8 viene detta la stessa cosa, ricordando che queste norme sono un comando del Signore: in caso di lebbra bada bene di osservare diligentemente e fare quanto i sacerdoti leviti vi insegneranno; avrete cura di fare come io vi ho ordinato. Il sacerdozio qui ha una parte importante, ma serve solo a controllare l’evoluzione della malattia e a certificarla.

3) Il lebbroso colpito da lebbra… andrà gridando: immondo! Immondo! Si tratta di una impurità cultuale; la purità che rende idonei al culto è considerata implicitamente la condizione normale, mentre l’impurità è vista come elemento contrario a Dio, che separa dal servizio di Dio e dal popolo. Anche se l’impurità cultuale non implica una responsabilità in senso etico, tuttavia nella Scrittura la lebbra è spesso associata all’idea di peccato: in Nm 12,10 Maria, sorella di Mosè e in 2Re 5,27 il servo di Eliseo, Ghecazi, diventano lebbrosi per aver peccato. Nella profezia di Is 53 il servo del Signore appare "castigato" (lat. "leprosum", al v. 4), non ha bellezza che attragga lo sguardo ed è reietto tra gli uomini, ma, poiché si carica delle infermità e dei peccati degli uomini, essi proprio dalle sue piaghe sono guariti.

4) È immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento: anche in Nm 5,1-3 si afferma: Il Signore disse a Mosè: "Ordina agli israeliti che allontanino dall’accampamento ogni lebbroso… li allontanerete dall’accampamento perché non contaminino il loro accampamento in mezzo al quale io abito"; il motivo della prescrizione dunque non dipende da motivi di "igiene pubblica", ma sta nella santità dell’accampamento, dovuta alla presenza di Dio stesso in mezzo al popolo.

 

1 Corinzi 10,31-11,1

10 31 Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 32 Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; 33 così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.

11 1 Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

1) Fratelli, sia che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio: in queste parole conclusive del capitolo 10 viene riassunto l’atteggiamento del cristiano; tutto ciò che egli fa, quello che costituisce il tessuto normale della sua vita, deve essere per la gloria di Dio. Ogni discepolo del Signore è chiamato ad essere luce nel mondo tenendo alta la parola di vita (cfr. Fil 2,16): Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5,16); In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,8).

2) Non date motivo di scandalo né ai Giudei né ai Greci né alla Chiesa di Dio: l’attenzione a non procurare scandalo o inciampo al fratello deve essere universale, perché ormai il mondo intero è stato unificato in Cristo (non c’è più né giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù Gal 3,28); per questo l’Apostolo dirà: Chi riceve scandalo che io non ne frema? (2Cor 11,29).

3) Così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza: l’Apostolo non è mosso dal desiderio di compiacere gli uomini, ma dalla carità, che non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse… ma si compiace della verità (cfr. 1Cor 13); per questo è tutto teso alla salvezza di tutti: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1Tim 2,4).

4) Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo: come in precedenza (4,16), Paolo chiede ai Corinti di imitarlo non per esaltare se stesso, ma per orientare il loro volere e operare alla persona di Gesù presente in lui; infatti, Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Il lebbroso che le scritture ci presentano è l’immagine stessa dell’uomo. La lebbra allora non è solo una terribile malattia che colpisce qualcuno, ma più radicalmente viene scelta per indicare la ferita corporale e spirituale presente in ogni uomo e nella storia di tutta l’umanità. È questa una ferita grave che, come la lebbra, deforma le persone ed eccede per la sua violenza anche le colpe a cui potessimo pensare di ricollegarla. La reazione istintiva degli uomini, per difendersi da questo male che è in loro, è l’esclusione verso quanti ne sono più manifestamente colpiti. La Legge mosaica però non accetta questa esclusione. Infatti le sue norme rendono difficile la dissimulazione del male presente in ognuno e d’altro canto anche le disposizioni che sottopongono il malato di lebbra a severe regole, pur separandolo, ribadiscono, per il solo fatto di esserci, la sua appartenenza al popolo, che proprio dalla legge trae la sua vita e solo attorno ad essa si riunisce. Israele non può dimenticare il male della storia e la presenza del malato nel suo seno perché la Legge si occupa di lui.

È resa così impossibile ogni esclusione violenta, mossa dalle passioni umane. La Legge è tuttavia impotente a guarire il male, anzi pone una separazione, quella fra il puro e l’impuro, di cui il lebbroso si deve fare carico, stando fuori dalla città e gridando: "impuro! impuro!". È una separazione dolorosa che tuttavia ha il merito di opporsi all’assuefazione nei confronti della presenza del male, cui tutte le culture alla fine si adattano. Per questo il grido affidato al lebbroso è un "ministero", che non solo dà voce al dolore, ma custodisce la speranza e l’attesa di tutti. Grazie alla Legge, il male, colto nel suo apice, manifesta infine la sua natura più profonda di barriera opposta alla comunione. La malattia dunque potrà essere curata solo da un atto in grado di colpirla al cuore, capace cioè di superare la Legge, abbattendo il muro di separazione fra puro ed impuro, e perciò in grado di ristabilire alla fine l’integrità del corpo e dello spirito del malato.

È quanto nel Vangelo compie Gesù che, mosso dalla compassione, vuole con tutta la forza del suo essere la salvezza dell’uomo lebbroso e per questo prima di tutto lo tocca. Gesù con questo gesto condivide l’impurità del lebbroso, annulla in sé la "distanza", guarisce la sua malattia. È lo stesso gesto che possiamo ritrovare nel bacio di S. Francesco al lebbroso. Il miracolo visibile nel corpo del malato è solo il segno esterno, che potrebbe anche mancare, di un altro miracolo, quello decisivo, che si compie in Gesù e che consiste nel fatto che vi è uno che per amore vuole perdere se stesso per la salvezza dell’altro; solo nell’amore infatti può essere superata la separazione che ostinatamente si riproduce fra "sommersi e salvati", "giusti e peccatori", dando compimento e nello stesso tempo superando la giustizia della Legge, senza però cadere in un arbitrio generatore di altre infinite e più gravi ingiustizie. Il lebbroso così guarito poi viene rimandato ai custodi della legge, perché la città e la religione devono accettarne la testimonianza: non possono ignorare l’amore che si è manifestato senza diventare idoli opprimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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