17 Aprile 2005

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)

 

Giovanni 10,1-10

1 In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. 4 E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

6 Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. 7 Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

1) Chi non entra nel recinto delle pecore per la porta…è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore: Gesù si presenta come il pastore buono, contrapposto a pastori che buoni non sono (cfr. Ez 34) perché non entrano nel recinto delle pecore attraverso la porta: sono ladri e briganti perché il loro intento è di rapinare e distruggere, non di custodire. Si servono di parole e di insegnamenti che allontanano dalla verità, depredando l’anima della fiducia, della speranza e della carità. La carità che tutto sopporta e che non cerca il proprio interesse (cfr. 1Cor 13) è sconosciuta ai mercenari e agli estranei a cui non importa la salvezza del gregge. Gesù entra per la porta con la parola della verità che ha udito dal Padre perché solo la conoscenza della verità rende liberi: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,32); così Egli entra nel recinto dei comandamenti, della Legge che custodisce il gregge di Dio per farlo uscire nella maniera nuova che non è quella dei servi ma dei figli.

2) Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: Egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce: in collegamento con la seconda lettura, è importante riconoscersi parte del gregge; è proprio del gregge “seguire le orme del pastore”. Il Pastore buono guida alla grazia e alla felicità le pecore che ascoltano la sua voce. La voce del pastore buono è quella dell’amore con cui Gesù obbedisce al Padre; la vera obbedienza infatti nasce non dalla costrizione ma dall’amore, dalla donazione di sé, dalla consegna della propria vita.

3) Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza: Gesù è la porta; solo in Lui infatti c’è la salvezza. Il suo insegnamento, accolto con mitezza ed umiltà di cuore, fa entrare nel recinto dell’obbedienza amante e fa uscire da esso con quella carità che nulla fa per sforzo, ma che è puro riflesso dell’amore di Dio.

 

 

Atti 2,14a.36-41

14 Nel giorno di Pentecoste, Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: 36 «Sappia con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!».

37 All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

38 E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. 39 Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». 40 Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa».

41 Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone.

 

1) Sappia con certezza tutta la casa d’Israele…: il fatto che Gesù sia il Cristo (L’Unto, il Consacrato di Dio) non è presentato da Pietro come un’ipotesi, ma come una realtà sicura.

2) All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore: è l’ascolto della parola di Dio che produce questo effetto (cfr. Eb 4,12: la parola di Dio è viva, efficace e tagliente…) e li porta alla domanda Che cosa dobbiamo fare, fratelli?, la stessa che avevano rivolto le folle a Giovanni Battista ricevendo il suo battesimo (Lc 3,10).

3) Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare: Pietro propone prima di tutto non una dottrina, ma un movimento del cuore e della mente (convertitevi, cambiate mente) e l’incontro con la persona stessa del Signore nel battesimo.

4) Per voi è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani: la salvezza promessa ha come prima destinataria la famiglia, genitori e figli, e poi i “lontani”, secondo le profezie (cfr. Is 57,19 Pace, pace ai lontani e ai vicini… io li guarirò e Lc 24,47 nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme).

5) Con molte altre parole li scongiurava (lett. testimoniava) e li esortava: il discorso di Pietro è insieme forte testimonianza e accorata preghiera rivolta agli ascoltatori, perché colgano l’occasione di salvezza offerta loro.

 

 

1 Pietro 2,20b-25

20 Carissimi, se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio.

21 A questo infatti siete stati chiamati, | poiché anche Cristo patì per voi, | lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: | 22 egli non commise peccato | e non si trovò inganno sulla sua bocca, | 23 oltraggiato non rispondeva con oltraggi, | e soffrendo non minacciava vendetta, | ma rimetteva la sua causa a colui | che giudica con giustizia. | 24 Egli portò i nostri peccati nel suo corpo | sul legno della croce, | perché, non vivendo più per il peccato, | vivessimo per la giustizia; | 25 dalle sue piaghe siete stati guariti. | Eravate erranti come pecore, | ma ora siete tornati al pastore | e guardiano delle vostre anime.

 

1) Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio, a questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi: siamo invitati a seguire l’esempio del Cristo; infatti la nostra vocazione è quella dell’Amore: Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1Gv 3,16). È Gesù che ci ha amati per primo (cfr. Gv 4,10  In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati). Il sopportare la sofferenza con pazienza non è un’azione fine a se stessa, ma significativa se viene compiuta amando. In questo modo si seguono le orme di Gesù (cfr. Mt 16,24-25 Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà): seguire la croce e perdere la propria vita non è un annullamento di se stessi, ma un donarsi fecondo.

2) Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi… ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce: l’apostolo richiama la descrizione del Servo di Isaia (cfr. Is 53,11 Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità). Il Servo sofferente si offre consapevolmente per ridare la vita ai molti, per giustificarli dai loro peccati, strappandoli da essi e donandoli alla giustizia. È il paradosso, il mistero della novità portata dal Cristo. Il Servo non pronuncia parola davanti a chi lo maltratta (cfr. Mt 27,12-14 E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose attestano contro di te?”. Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore) e questa sofferenza silenziosa del Servo diventa lo strumento per glorificare il Padre (cfr. Gv 17,26 E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro) e per giustificare la moltitudine (cfr. Gv 17,20 Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato). La sofferenza non rimane sterile e inutile, ma diventa vita.

3) Ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia: Gesù non svolge azioni di giudizio, ma rimette tutto al Padre. Si rimpicciolisce, compiendo la Sua volontà e portando la croce, cioè noi e i nostri peccati.

4) Ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime: solo in Dio il cuore dell’uomo trova pace (cfr. Sal 4 Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare).

 

 

 

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

Mi sembra molto importante cogliere l'evento della risurrezione del Signore non come un termine di pienezza che pone fine a tutto e stabilisce un volto della realtà immobile e definito. Come già vedevamo la scorsa domenica, è proprio la risurrezione a porre in crisi ogni pensiero e ogni situazione e a promuovere la conversione, il cammino e l'incessante movimento dei pensieri e delle azioni. Per questo, cogliamo il "viaggio" che domenica scorsa portava il Risorto ad accompagnare i due discepoli nel loro cammino di tristezza per promuovere il loro cammino di ritorno a Gerusalemme, in stretta connessione con il grande viaggio che oggi il Pastore promuove per le pecore liberate dal recinto e condotte da Lui verso il Padre.

Gesù si presenta come l'unico vero pastore: la porta per la quale egli entra nel recinto afferma che l'autorità del pastore è intimamente collegata e garantita dalla sua radicale sottomissione alla tradizione profetica che lo ha preceduto: nella sapienza ebraico-cristiana l'autorità non è mai affermazione di un potere arbitrario, ma pienezza di obbedienza ad uno statuto cui per primo si sottomette colui che deve guidare. E d'altra parte le pecore usciranno dal recinto e inizieranno il loro cammino nuovo solo passando per la porta che a questo punto è lo stesso pastore: entreranno e usciranno, cioè celebreranno in Lui l'evento battesimale della loro morte e della loro risurrezione; dunque, il dono pasquale del battesimo come principio del grande viaggio della vita nuova, non verso il tramonto della morte ma verso la pienezza della gloria di Dio.

Proprio perché è entrato umilmente e totalmente nella povertà della condizione umana, sia pure visitata dalla grande vicenda del popolo d'Israele (questo è il significato di quel "recinto"), il Pastore è "riconosciuto" dal guardiano, figura affascinante del patto sinaitico, ed è riconosciuto dalle pecore che peraltro egli conosce e chiama ciascuna per nome, segno dell'intimità che Dio stabilisce con l'umanità mediante la stirpe di Abramo e mediante il messia.

La "chiamata" delle pecore è quella Parola che nel testo degli Atti Pietro rivolge alla gente, ed è quella "trafissione" del cuore che dice ancora il "morire-risorgere" come evento provocato dalla predicazione-chiamata da parte del Signore del Vangelo. Nella potenza di questo annuncio, come i due discepoli tornavano verso Gerusalemme, il gregge di Dio s'incammina verso la Gerusalemme del cielo.

 

 

 

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