SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A)
Giovanni 6,51-58(gr.)
In quel tempo, Gesù disse alle folle dei Giudei: 51 «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
1) Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo: la carne di Gesù diventa pane, che è per l’uomo cibo e nutrimento primario, di cui non può fare a meno. Il mondo per avere la vita necessita di questo pane in modo regolare, quotidiano. C’è un nesso profondo tra il sacrificio di sé e il nutrimento che dà vita.
2) Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”: i Giudei, non comprendendo le parole di Gesù, si trovano divisi tra loro.
3) Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno, perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda: Gesù, facendo riferimento al suo sacrificio d’amore, usa termini molto forti. Come attraverso il suo sangue e la sua carne l’uomo è pervaso dalla vita, così chi si nutre del sacrificio di Gesù avrà la vita eterna (cfr. Gv 4,13-14 Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna).
4) Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me: dopo aver ricevuto la Rivelazione, si sente la necessità di portarla agli altri; il dono del Padre non può essere tenuto per sé, ma deve essere ridonato e vissuto in comunione con gli altri (cfr. Gv 4,28-30 La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? ”. Uscirono allora dalla città e andavano da lui). Per rimanere in Gesù e vivere per lui abbiamo bisogno del suo pane, senza il quale non siamo vita (cfr. Gv 15,4-5 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla).
5) Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono: il ricordo dell’esperienza dei padri nel deserto serve a comprendere la grandezza e la novità del dono di Gesù; cfr. Dt 8,3: Egli ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Deuteronomio 8,2-3.14-16
Mosè parlò al popolo dicendo: 2 «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
3 Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
14 Non dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile; 15 che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
1) Mosè parlò al popolo dicendo: queste parole di Mosè sono inserite nell’ampio e fondamentale comando: Ascolta Israele! e nella memoria dell’Alleanza che Dio ha stabilito con il Suo popolo, sull’Oreb (Sinai) (cfr. Dt 5,1).
2) Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto: l’esortazione a non dimenticare, ripetuta più volte, è perché Israele ricordi che solo il Signore è Dio e che da Lui tutto ha ricevuto, la vita, l’elezione, la libertà e anche la prova del deserto.
3) Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere (lett. discernere, sec. i LXX) quello che avevi nel cuore: l’attenzione di Dio è per l’intimo dell’uomo, là dove Egli “nel segreto” gli rivolge la Sua Parola, che come spada penetrante scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (cfr. Ebr 4,12). Per questo Dio conduce il Suo popolo attraverso il deserto dove possa vivere in pienezza la nuzialità con il suo Signore (Os 2,16: Ecco la attirerò a me, la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore). Il cammino nel deserto è necessario per acquisire coscienza dell’impotenza e della incapacità di nutrire da sé non solo il corpo, ma anche l’anima, che ha fame di amore (cfr. Ct 2,5: io sono malata d’amore).
4) Egli dunque… ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna: il Signore nutre il popolo messo a prova (lett. estenuato, sec. i LXX) con una fame “ampia”, segno della mancanza di tutto. Come madre provvida e tenera, “imbocca” (lett., sec. i LXX) i suoi figli con la manna, cibo degli angeli, per farli crescere nell’esperienza quotidiana di una vita che non dipende dalle cose esterne, ma dalla grazia divina..
5) Non dimenticare (lett., sec. i LXX: Non innalzarti nel cuore e non dimenticare): la “dimenticanza” nasce dall’inorgoglirsi dell’anima (cfr. Sal 130: Signore, non si è innalzato il mio cuore...). Dio, che non guarda i superbi, aspetta il suo popolo nell’atto dell’umile riconoscimento del proprio bisogno: là dove è tutto spavento, violenza e tentazione, scende il dono di Dio, la sua grazia che vale più della vita (Sal 63,4) a saziare e dissetare di sé, “pane del cielo e acqua della roccia”.
1Corinzi 10,16-17
16 Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.
1) Il calice della benedizione: il calice della benedizione è un importante elemento della cena pasquale ebraica, passato nella liturgia cristiana, ed è una immagine simbolica che indica i doni di Dio: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza (Sal 116,13).
2) Che noi benediciamo: durante l’azione eucaristica il calice viene benedetto, ma contemporaneamente è dal calice del sangue di Cristo che sgorga la benedizione per tutti: dopo aver cenato prese anche il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue: fate questo in memoria di me” (1Cor 11,25).
3) Il pane che noi spezziamo: lo spezzare del pane è un atto che rappresenta il sacrificio che Gesù fa di sé; per questo i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù quando egli compie questo gesto: Quando fu a tavola con loro prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,30-31).
4) Non è forse comunione con il corpo di Cristo?: il pane di vita è Gesù stesso, come afferma in Gv 6,35: Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete; per questo chi lo riceve si mette in comunione con Lui.
5) Poiché c’è un solo pane… siamo un corpo solo: chi partecipa a questa comunione con il pane vivo disceso dal cielo (cfr. Gv 6,34), entra a sua volta in comunione con tutti coloro che condividono la stessa mensa: erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera (At 2,42).
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Il tema del cibo è simbolo perenne della condizione umana. Nella tradizione sapienziale ebraico-cristiana esso si pone fin dal principio come rivelatore del cuore umano e della relazione con l’altro: un cibo rubato, o conquistato, di fronte a un cibo donato e ricevuto.
La grande pedagogia di Dio, secondo la memoria biblica celebrata oggi, tende a rendere l’uomo consapevole di due verità “scomode”, istintivamente censurate nel cuore delle persone e nel cuore dei popoli: da una parte la radicale fragilità-povertà della creatura, dall’altra la bontà assoluta di Dio che vuole donare al suo popolo tutto ciò che lo sostenta nel cammino e nel travaglio della storia. I due termini, quello della “fame” dell’uomo e quello di Dio che tende non solo a nutrire, ma addirittura a “farsi cibo” per la sua creatura amata, si accentuano e si radicalizzano.
Ma qui sorge lo scandalo: quello di un “pane divino” che si pone e si offre in un uomo, Gesù di Nazaret. Tutto Dio, tutto l’amore di Dio, tutta la comunione tra Dio e l’umanità, e tutto questo in pienezza, nella persona, nella parola e nell’opera di Gesù. Ora e per sempre.
Tale è lo scandalo della fede cristiana: sia di fronte a monoteismi rigidi che non sopportano un incontro tanto contaminante per Dio, sia rispetto alla grande spiritualità orientale che non sopporta un’elezione divina, una via di Dio, insieme tanto esclusiva e tanto universale.
Mentre il nostro “foglietto” va in vacanza, gustiamo e vediamo com’è buono il Signore che fa di noi una cosa sola in lui.
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