16 Gennaio 2005

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

 

Giovanni 1,29-34

29 In quel tempo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele».

32 Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».

 

1) Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui…: Giovanni, vedendo venire Gesù verso di lui, riconosce in Lui la pienezza della misericordia con cui Dio viene a visitare e a salvare il suo popolo.

2) Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo: il vero Agnello pasquale è Gesù, che ci libera dalla schiavitù del peccato. Colpisce l’uso del singolare per la parola peccato; i peccati dell’uomo infatti sono in realtà molti. Giovanni però fa riferimento all’unico grande peccato, che è generatore di tutti gli altri: l’incredulità e la mancanza di fiducia nell’amore di Dio. Il peccato tolto diventa riconciliazione con il Padre celeste.

3) L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è Colui che battezza in Spirito Santo: Giovanni vede lo Spirito che non solo scende, ma rimane su Gesù.È la potenza di Dio che prende dimora stabile in Lui e diventa visibile. Grazie a questo Spirito Gesù battezza in Spirito Santo.

4) E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio: è proprio nella testimonianza che si compie la missione profetica di Giovanni, che annuncia ed indica colui nel quale stanno la salvezza e la benedizione. Il Padre… ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo (Ef 1,3).

 

 

Isaia 49,3.5-6

3 Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, | sul quale manifesterò la mia gloria».

5 il Signore| che mi ha plasmato suo servo dal seno materno | per ricondurre a lui Giacobbe | e a lui riunire Israele, | - poiché ero stato stimato dal Signore | e Dio era stato la mia forza - | 6 mi disse: «È troppo poco che tu sia mio servo | per restaurare le tribù di Giacobbe | e ricondurre i superstiti di Israele. | Io ti renderò luce delle nazioni | perché porti la mia salvezza | fino all’estremità della terra».

 

1) Il Signore mi ha detto: Mio servo tu sei, Israele: c’è una identificazione tra il servo del Signore e il popolo; l’inviato del Signore patisce le stesse sofferenze del suo popolo (cfr. anche il v. 4, non compreso nel testo liturgico: Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze).

2) mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele: qui si vede invece una distinzione tra il servo e il popolo, perché egli riceve una missione da compiere a favore del popolo stesso.

3) È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe: qui abbiamo un allargamento della missione del servo a tutti i popoli. Il servo viene dato (TM e Vulg.) o posto (LXX) come luce delle genti perché porti (lett.: sia) la mia salvezza fino all’estremità della terra.

4) Salvezza e luce delle genti sono appellativi con cui il vecchio Simeone riconoscerà Gesù bambino tra le sue braccia: Signore…i miei occhi hanno visto la tua salvezza… luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc.2,30.32). Paolo e Barnaba interpreteranno lo stesso versetto nel senso che la Parola di Dio, annunziata ai Giudei per primi, viene ora rivolta alle Genti (poiché la respingete…noi ci rivolgiamo ai pagani; così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti… (At 13,46b-47).

 

 

1Corinzi 1,1-3

1 Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, 2 alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: 3 grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

 

1) Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio: la lettera ai cristiani della Chiesa di Corinto si apre con la presentazione che Paolo fa di sé. Il termine “apostolo” significa inviato e appare qui non più riservato ai dodici, come era invece nei vangeli (cfr. Lc 6,13: chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli): l’apostolato di Paolo deriva direttamente da Dio, che lo ha scelto per evangelizzare le genti (Rm 1,1: Paolo, servo di Gesù Cristo, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio).

2) E il fratello Sòstene: si fa riferimento forse al capo della sinagoga di Corinto, di cui è detto in At 18,17; Paolo lo chiama fratello, indicando così la nuova relazione in cui Dio Padre del Signore Gesù ha posto gli uomini.

3) Alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo: la santificazione dei fedeli è operata dallo Spirito Santo conferito nel Battesimo, sigillo per tutti coloro che invocano l’unico nome nel quale c’è salvezza (cfr. Rm 10,13: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato).

4) Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo: il saluto iniziale si conclude con una benedizione rivolta a tutti. Non è una semplice lettera, ma una preghiera, una vera azione liturgica.

 

 

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

 

Si parte così, con questa strana parola: il peccato. E con l'annuncio della determinazione di Dio: toglierlo!, Dove il verbo implica l'ipotesi che per toglierlo Dio lo prenda su di Sé. Inutile chiedersi perché c'è il Male: la domanda non ha risposta se non in vane elucubrazioni filosofiche o in crudeli attribuzioni di colpa. Quello che conta, dice Dio in questa domenica, è toglierlo. Il Male è la nostra solitudine da Dio. Essa ci colloca in un'invincibile solitudine. Da sempre si tenta di togliere questo guaio assoluto. L'ipotesi più elevata e audace si è compiuta con il popolo d'Israele al quale Dio ha regalato la Legge Santa. Oggi viene annunciata l'ultima ipotesi: l'intervento personale di Dio.

Raccogliendo il frutto maturo della profezia d'Israele, esperto di questa via per la quale per vincere il grande ci vuole il piccolo, e per dare vita ci vuole la morte, il Figlio di Dio si presenta, o meglio è presentato dalla fede d'Israele raccolta nella testimonianza del Battista, come l'Agnello immolato, sia in adempimento dell'antico agnello della Pasqua ebraica, sia come rivelazione di quel Servo che Isaia profetizza come innocente salvatore. Lo Sconfitto è in realtà il vincitore. L'Immolato è il Salvatore. Tale è il senso di tutto quello che nelle prossime domeniche Gesù dirà e farà. Altrimenti siamo nella solita magìa che ogni tanto illude l'umanità circa la possibilità di abbattere l'ostacolo del male e della morte. La piccolezza e la morte di Dio, cioè l'abbattimento delle "religioni", è in realtà l'unica ipotesi di salvezza.

La genialità suprema del Padre di Gesù Cristo sta proprio nel fare della "sconfitta" dell'uomo, la sua carnalità e la sua mortalità, l'imprevedibile via per divinizzare l'uomo. Con una nota ulteriore che qualcuno mi ha seminato nella testa e nel cuore in queste ultime ore: la solitudine. Questo meraviglioso Dio, che Gesù Cristo mi ha svelato non come solitudine di un monoteismo rigido e triste, ma come eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, un monoteismo Amore, sceglie per il Figlio la solitudine della Croce come fonte di comunione universale. Il principio della comunione è la solitudine del sacrificio d'amore. Siamo una generazione e una cultura della solitudine. Cerchiamo la comunione e ne evadiamo disperati. Forse spetta a noi condividere le grandi solitudini del nostro tempo, senza giudizi e senza retoriche, nella speranza che siano principio di nuove sapienze dell'unico sacrificio d'amore.