1 Canto. Salmo. Dei figli di Core. Al maestro del coro. Sull’aria di «Macalàt leannòt». Maskil. Di Eman, l’Ezraita.
2 Signore, Dio della mia salvezza,
davanti a te grido giorno e notte.
3 Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l’orecchio alla mia supplica.
4 Io sono sazio di sventure,
la mia vita è sull’orlo degli inferi.
5 Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa,
sono come un uomo ormai senza forze.
6 Sono libero, ma tra i morti,
come gli uccisi stesi nel sepolcro,
dei quali non conservi più il ricordo,
recisi dalla tua mano.
7 Mi hai gettato nella fossa più profonda,
negli abissi tenebrosi.
8 Pesa su di me il tuo furore
e mi opprimi con tutti i tuoi flutti.
9 Hai allontanato da me i miei compagni,
mi hai reso per loro un orrore.
Sono prigioniero senza scampo,
10 si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore,
verso di te protendo le mie mani.
L’esordio di questo Salmo, i vers.2-3, avverto che dobbiamo quasi gridarlo perché ci impedisce di pensare che la persona che dice-grida tali parole sia morto! Questo è necessario, perché – almeno io ritengo sia così (!) – la drammaticità di questa preghiera è fonte e protezione di una speranza senza limiti: anche chi è “annoverato fra quelli che scendono nella fossa”(ver.5) è in relazione con Dio! Anche quando sembra che Dio gli sia assente, questo poverissimo, questo “più bambino”, come è detto nella bellissima regola di vita cristiana che leggo ogni giorno, è in relazione con Dio. Anche il ver.10 lo conferma: “Tutto il giorno ti chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani”. L’esperienza mi ha convinto che la realtà e la potenza della preghiera sono molto più presenti e profonde di quanto il nostro giudizio superficiale può cogliere e ritenere. Non saranno le sue labbra a gridare, forse non sarà neppure il suo pensiero a formulare pensieri come, ad esempio, quello che ascoltiamo al ver.4: “Io sono sazio di sventure, la mia vita è sull’orlo degli inferi”, ma è la sua stessa carne ferita, e la sua storia ferita, a dire e a gridare verso Dio la sua preghiera. Dunque, non è lui ad essere impossibilitato a pregare, ma forse sono soprattutto io incapace di unirmi a questa sua preghiera.
L’orante dice “sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa”(ver.5), ma in realtà egli è vivissimo nella sua condizione di passione: “Sono libero, ma tra i morti..”. Io apprezzo questa proposta della nuova versione biblica riveduta, perché evidenzia drammaticamente che questo “annoverato fra quelli che scendono nella fossa” è in realtà vivo! Dunque, la Parola ci sta dicendo che la preghiera si rende presente anche nelle situazioni e nelle condizioni che noi consideriamo affondate nella morte. Sto pensando non solo a condizioni “di coma”, ma anche a forme di “coma” psicologico o addirittura spirituale. Dentro a queste persone – che potremmo in ogni momento essere anche noi – il Cristo della Passione è presente e grida.
Al ver.7 ci troviamo davanti ad una brusca “curva” del testo, perché si passa dal soggetto in prima persona singolare al “Tu” di Dio stesso! E in questo modo Egli viene direttamente implicato, interrogato, e in certo modo sfidato! “Mi hai gettato nella fossa più profonda, negli abissi tenebrosi”. Il povero piccolo “orante”, senza ombra di dubbio, attribuisce a Dio la sua vicenda, senza sconti. Senza l’ombra di un riferimento ad eventuali suoi peccati che spieghino una punizione da parte di Dio. Si tratta dunque di un piccolo-povero innocente? Certo è molto forte il richiamo verso la Persona di Gesù! Molte volte mi accorgo di questa presenza di Gesù in un corpo che con la sua povertà celebra la Pasqua del nostro caro Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
I commentatori ebraici riferiscono questo salmo all’esilio di Israele, condizione vicina alla morte e per certi versi più grave della morte: è una ferita profondissima, la più profonda di tutte, una situazione senza uscita (versetto 8).
E’ importante pensare che questo salmo lo legge prima di tutti il Cristo, applicandolo a sè in modo che non ci sia nessun uomo, per quanto la sua condizione sia disperata, che rimane fuori da questa preghiera al Dio della mia salvezza.
Il cammino che stiamo facendo in questi salmi ci sta insegnando che la supplica, la fede e la speranza di Israele è che Dio ascolta.
Il salmo di oggi ci insegna la perseveranza nella preghiera, giorno e notte, come Giobbe nella sua situazione non si arrende a provocare Dio così anche il salmista.
Il versetto 6 cita la misteriosa affermazione della LXX “libero tra i morti”, certamente applicabile a Gesù come dice Col 1, 18 “primogenito dei morti” e Gv 8, 31 “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete al verità e la verità vi farà liberi”.