13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». 14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. 16 Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17 Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: 18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
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C’è anche questo nella rivelazione divina della fede ebraico-cristiana: la piccolezza-debolezza-fragilità di Dio! E dunque la necessità di proteggerlo, fino alla “fuga”: “..fuggi in Egitto..”(ver.13). Certo, è Dio stesso che guida la storia! Ma non interviene con la sua potenza dall’esterno, e in certo senso si fa piccolo come si è fatto piccolo nel Bambino Gesù. In questo modo si consegna ai limiti della debolezza umana, esponendosi alla violenza della storia. Siamo ben lontani da un dio che tutto governa con la sua potenza. Ed è questa piccolezza di Dio il giudizio più severo della storia, giudizio che si farà supremo nella croce e nella morte del Figlio. Così, Giuseppe, che nei sogni precedenti è stato collocato in tanta piccolezza davanti al mistero grande di Gesù e della madre, ora è chiamato a raccogliere e a proteggere la loro piccolezza. La preziosità di queste memorie visita e consola la povertà e la fragilità dell’esistenza umana.
Tutto questo si raccoglie poi nel mistero di un adempimento della profezia che immerge la persona del Bambino nella grande storia della salvezza con l’antico esodo dall’Egitto, evento supremo della vicenda e della fede pasquale dei padri ebrei che ora si adempie nella piccola vicenda della fuga in Egitto. E’ il principio del nuovo grande Esodo dell’intera umanità che, condotta dal nuovo Mosè, conduce tutta la storia verso la casa del Padre. La citazione di Osea11,1 – “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato, e dall’Egitto ho chiamato mio figlio” – riempie di luce, come all’improvviso, la dura vicenda dei poveri profughi fuggitivi, e adempie le antiche vicende di Israele nello splendore del nuovo popolo dei figli di Dio.
Il mistero del male reagisce alla storia della salvezza, nei vers.16-18, con la furia infanticida di una strage legalizzata dal potere demoniaco del re. I primi martiri di Gesù confermano una storia che da Abele allo stesso Gesù uccide il piccolo e l’innocente. Ma la citazione di Geremia31,15 consiglio di leggerla anche nel suo proseguo. Vi si scopre allora che i figli di cui il profeta parla non sono degli uccisi, ma degli esiliati. E a Rachele viene rivolto l’invito alla consolazione perchè questi figli esiliati ritorneranno! Anche la storia più invasa dalla furia della morte è nelle mani di Dio, perchè questo Bambino è venuto ad assumere e a portare a pienezza l’elezione divina della vittima.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
L’adempimento, la pienezza dei due passi profetici oggi citati, è anche in certo modo l’adempimento e la pienezza dell’intera storia del popolo di Israele; attraverso Osea dell’esodo pasquale dall’Egitto alla terra promessa, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita; attraverso Geremia del dramma e delle catastrofi che costellano la storia del popolo, e in particolare la distruzione del tempio e di Gerusalemme e l’esilio e la dispersione a Babilonia, bene rappresentati dalle lacrime di Rachele che non possono essere consolate, almeno da un punto di vista umano. Se peraltro si guarda il contesto più generale da cui le citazioni sono tratte, troviamo in ambedue i casi una assicurazione da parte di Dio che il suo amore non viene meno, ed è potente sopra ogni situazione.
E’ in questo contesto di salvezza e di vittoria pasquale , a cui chiaramente rimanda la prima citazione, e che può essere la sola risposta efficace alle lacrime di Rachele, che è possibile leggere l’uccisione dei bimbi di Betlemme, e il relativo mistero della violenza e del male in ciò contenuto e da ciò rappresentato; tutto interno cioè a quella guerra di cui ci racconta il libro dell’Apocalisse, dell’attentato del drago al bimbo che deve nascere dalla donna, dalla relativa guerra che scoppia in cielo e che culmina con la definitiva sconfitta del drago, della sua residua violenza, peraltro già tutta vinta e depotenziata.
Quindi il dramma dell’uccisione dei bimbi di Betlemme è necessariamente proiettato verso la pienezza della vittoria nella Pasqua del Signore. Si può citare anche il cap. 6 dell’Apocalisse, dove gli uccisi da sotto l’altare chiedono a gran voce giustizia e vendetta per il loro sangue e l’immagine successiva del cap. 7 dei compagni dell’Agnello.
Ora l’Angelo appare a giuseppe e gli dice di mettere in salvo il bimbo e la mamma fuggendo, in quanto Erode CERCA il bambino per ucciderlo. Quando verrà il tempo della battaglia finale e decisiva, non vi sarà intervento di angelo – Vedi Mt 26, 51- (se non secondo Luca nel Getsemani, ma al fine di rafforzare Gesù proprio in vista dell’agone). Sarà Gesù stesso a farsi avanti dicendo “Chi CERCATE”, offrendosi spontaneamente ai suoi aguzzini, perchè non andasse perduto nessuno di quelli che il Padre gli aveva affidato. Questo “nessuno” può forse avere una valenza ampia, e oltre ai suoi discepoli, comprendere tutti quelli che dal suo sangue riceveranno vita, a partire dalle vittime innocenti di tutti i tempi.