30 Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”.
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In attesa delle parole di don Giovanni, ho un bel ricordo da comunicare. Andando a passeggio per Gerusalemme, in tempi più tranquilli (era il 1999), ci imbattemmo in un arbusto alto come un uomo: era proprio l’ortaggio di cui parla oggi la parabola. In genere, non supera i due metri, anche se un rabbino racconta che nel suo giardino la pianta aveva raggiunto i tre metri di altezza, e lui ci si arrampicava sopra. Comunque, una piccola pianta, niente di paragonabile con il magnifico cedro descritto da Ezezhiele per rappresentare la gloria dell’Isreale futuro! Quindi, il regno di Dio di cui parla Gesù, non ha manifestazioni imponenti, maestose, ma modeste, non appariscenti: è grande,sì, ma un grande ortaggio. Gesù aveva certo in mente l’esperienza dei contadini palestinesi: da un seme minimo veniva fuori e si propagava con estrema facilità l’arbusto in questione. Il regno di Dio si propaga in modo sicuro, facile, prorompente, e cresce: possiamo esserne certi… e dormire sonni tranquilli.
Nel capitolo 4 tutto il discorso del seme mi è piaciuto moltissimo.
Oggi l’idea di noi, del poco della nostra terra più o meno arida, e del seme che misteriosamente cresce..
E’ molto confortante, per me, sentirsi terra e sentire anche la Parola seminata in noi, senza irruenza, con la pazienza silenziosa di ua pianta.
Oggi in particolare mi è venuta in mente la Regola, come un grande manuale di agricoltura per tenere il più possibile fertile e produttivo il terreno..
Forse anche con una certa attenzione a lavorare da braccianti anche negli altri campi, quelli dei nostri vicini.
Per poi infine godere insieme tutti, dell’ombra.
Personalmente sperimento continuamente la grazia di ripararmi all’ombra di qualche pianta di senapa..
Che bello il Vangelo..forse la Parola stessa ci prende e ci ripara..
Solo con le parabole si può parlare del regno di Dio. E’ qualcosa di tanto grande, di tanto superiore, sovrasta di tanto la nostra esperienza e la nostra vita, che può essere solo adombrato dalle similitudini, dalle parabole. Non è dicibile con le parole comuni della razionalità. E tutto può essere parabola: gli avvenimenti più semplici e comuni, la vita dei campi, la pastorizia, le relazioni familiari e sociali…Voglio sottolineare la piccolezza del granellino di senapa: se non si prende in mano non ce ne rendiamo conto. Piccolo, ma, una volta seminato, ha in sè una potenza straordinaria di crescita, un dinamismo capace di trasformazione così profonda fino a diventare il più grande di tutti gli ortaggi. Parabola dell’incarnazione, morte e risurrezione del Signore. “Gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”. Il verbo usato per “ripararsi” è “kataskenòo”, alla lettera “mettere la tenda, dimorare”, come in Gv 1,14 “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, dove “venne ad abitare” è “eskénosen”. E’ reciproco: il Verbo pone la tenda in mezzo a noi e tutti noi, come gli uccelli del cielo, poniamo la tenda al riparo del regno di Dio. Gesù rimane in noi e noi in lui.
Sembra sia la prima volta che il Signore propone una parabola sul regno di Dio. Lo ha già fatto invece nei versetti precedenti, ma forse oggi in modo più diretto considera la realtà di questo regno e il volto della sua presenza nella storia, mentre nell’immagine precedente, pur ambientando la parabola nello stesso tipo di orizzonte della vita, ne aveva esaminato piuttosto il “modo” della crescita. Ci possiamo domandare anche se il paragonare e la parabola sono diversi tra loro; ma mi sembra che sostanzialmente siamo nello stesso ambito, anche se forse la parabola non è tanto il “paragone” tra una realtà e un’altra, ma è il “mistero” che una data realtà, o forse ogni realtà, contiene in riferimento al regno di Dio.
Il testo propriamente non direbbe, al ver. 31, che “è “il” più piccolo di tutti i semi”, ma che “é più piccolo “di” tutti i semi” mettendo quindi in confronto diretto il regno con ogni altra realtà. Nel testo di Marco, diversamente da Matteo e Luca, non c’è un seminatore che lo semina, ma tutta l’attenzione è concentrata sul piccolissimo seme che viene seminato.
Oltre a sottolineare la piccolezza del seme rispetto a tutti gli altri, Marco enfatizza il contrasto con le altre piante per la grande crescita e per i rami grandi. E’ molto interessante il riferimento veterotestamentario dell’immagine, che potrete osservare in Daniele 4,9.18 e in Ezechiele 17,23. Nelle logiche del mondo i grandi alberi sono i grandi regni e i grandi poteri, sotto cui ci si rifugia, ma il Signore elegge il piccolo seme e non i grandi alberi, che anzi vengono da Lui abbattuti: ogni potenza del mondo è esposta irrimediabilmente alla sua fine. Ma la fede ebraica vi coglie l’intervento diretto di Dio, e Gesù lo spiega con una elezione contraria da parte sua: l’elezione del piccolo rispetto alla mondana elezione di ciò che è grande. Dei grandi alberi abbattuti la profezia dice anche di un resto lasciato, quasi volesse dire che questa è la vera speranza di ogni realtà, quella di crescere dalla piccolezza, e non di imporsi per la grandezza.
In tempi difficili e delicati come i nostri – ma forse tutti i tempi sono così! – possiamo essere spaventati e quasi scandalizzati dalla piccolezza del “seme”, e per questo Gesù ci regala questa parabola nella quale ci invita a considerare anche nella realtà più povera ed umiliata il mistero della speranza.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.