66 Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote 67 e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». 68 Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. 69 E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». 70 Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». 71 Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». 72 E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
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Trovo un grande significato simbolico nella Parola che oggi celebriamo: la concretezza dell’episodio sembra suggerire diverse considerazioni. Viene qui innanzi tutto sentenziata la totale solitudine di Gesù nel suo cammino di obbedienza al Padre. Non solo l’intera umanità, ma la stessa comunità ecclesiale non ha parte con Lui: nascerà dalla sua Croce, ma non ne partecipa se non “dopo” il pianto di pentimento di Pietro, dal quale nessuno è esentato.
Si adempie quello che Gesù aveva predetto ai vers.29-30. Quindi la condizione dell’apostolo e del discepolo è necessariamente frutto di una conversione. Una conversione dalla mondanità che segna drammaticamente la condizione del popolo della Prima Alleanza, rappresentata dalla casa del sommo sacerdote; e nella quale tutto il mondo è immerso. Ora sembra più evidente la sottolineatura della condizione “servile” nella quale anche il discepolo Pietro si era già immerso al ver.54. Tale condizione servile sembra quindi caratterizzare la casa del sommo sacerdote.
Se ci domandiamo da dove nascano le negazioni di Pietro, penso dobbiamo pensare certamente al sentimento della paura. Ma forse non solo a questo. C’è forse anche una specie di “vergogna” della condizione del discepolo, così fortemente e inevitabilmente “isolata” rispetto a tutti e a tutto. Ci possiamo infatti domandare se Pietro corre un vero pericolo di essere associato alla sorte di Gesù, come egli stesso aveva affermato, e con lui tutti gli altri, al ver.31. Per questo, forse non ci troviamo qui solo davanti ad un episodio isolato, ma alla condizione propria del discepolo, e quindi alla perenne tentazione del cristiano di fronte al mondo.
Se quindi il tradimento di Pietro è diverso da quello di Giuda, è pur sempre tradimento. In Atti 1,15-20 Pietro evocherà la vicenda di Giuda. Ma noi non possiamo non accostare le due vicende. La vera differenza è il pianto di Pietro. Mentre la coscienza del male commesso porterà Giuda, secondo Matteo 27,3-10, alla disperazione, qui la consapevolezza del tradimento trascina Pietro al pianto del dolore come luogo del suo ravvedimento.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Pesia di Giovanni Raboni tratta da “Rappresentazione della croce”:
Non finirà mai, non in questa vita
Ogni volta che a oriente
Ci sarà un po’ di sangue nella bruma
E cominceranno gli uccelli a fremere
D’inquietudine nei loro nidi io
Rivedrò assalirmi le aguzze lingue
Del fuoco che mi svela
Agli occhi senza malizia crudeli
Delle serve del grande sacerdote
E riascolterò lo sfrontato araldo
Del giorno assassinare la mia pace.
Due volte doveva cantare, o una?
E tre volte o due o quante io rinnegare
L’unica verità della mia storia
Prima che brillasse nel
Mezzosonno
La mannaia del rimorso? Io so solo
Che io ero Simone
Ora sono Pietro, e su questa pietra
Si abbarbicherà l’insonnia del mondo.
Stefano