8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10 E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11 Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12 chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Matteo 23,8-11

La Parola che oggi riceviamo dalla bontà di Dio sembrerebbe porre un problema e un’attenzione di non primario rilievo: i “titoli” che non è opportuno attribuirsi e attribuire. Credo sia invece molto importante favorire e praticare un linguaggio che ricordi e sottolinei la condizione nuova e meravigliosa nella quale siamo stati chiamati e posti dalla bontà del Signore! Vedo con piacere che anche qualche Vescovo chiede di non essere chiamato con titoli che rischiano di esaltare nomi e titoli che sono del Signore. Confesso che anche a me piace essere chiamato “Giovanni”, senza il “don”. E quando qualcuno mi chiama addirittura “mons” mi sento un po’ preso in giro.
Come è bello, invece il nome di “fratelli” citato al ver.8. E come è bello considerarsi tutti “figli” dell’unico “Padre” (ver.9).
E Gesù incoraggia non solo a “non farsi chiamare”, ma anche a “non chiamare”, che esige un po’ più di coraggio. Ma noi vecchi sono “lussi” che più facilmente possiamo prenderci, come se lo pongono spesso i bambini, con quel loro simpatico istinto a dare a tutti del “tu”!
E dai “titoli” da non dare citati ai vers.8-10, il nostro brano passa alla realtà della vita: il “grande” che è veramente “servo”, l’umiliazione di chi si esalta e l’esaltazione di chi si sarà umiliato (vers.11-12). Vedo che le persone veramente umili ricevono in dono la gioia di saper chiedere aiuto, e la gioia di ringraziare con affettuosa sincerità per tutto il bene che ricevono, specialmente dai piccoli e dai poveri che pensano di non servire niente a nessuno!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
A proposito di “Rabbì”, ho sentito un particolare significativa: viene dalla radice ebraica “rab” che vuol dire “grande”! Quindi “rabbì” equivale a “mio grande”, mio maestro, mio signore (il nostro “monsignore”). E’ proprio un riconoscimento di “grandezza”, di importanza o addirittura di superiorità, quello che volevano scribi e farisei e che forse anche noi desideriamo intimamente. Condivido con Giovanni l’auspicio che i titoli consueti vengano eliminati. Colpisce – ad esempio – il paradosso degli ordini religiosi che prevedono la figura del “padre-maestro”… Che bellezza avere tutti un solo Padre e avere in Gesù l’unico maestro e guida! E noi solo fratelli.