18 Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi 19 e li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?». 20 Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». 21 In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22 Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. 23 E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!».
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Il testo parallelo di Matteo 11,2-6 dice che Giovanni si trovava in prigione e che dalla prigione manda la sua delegazione a interrogare Gesù. Nel nostro testo, invece, l’episodio si inserisce nelle vicende per le quali stiamo passando in questi giorni, e con le quali il Vangelo vuole mostrarci l’orizzonte della presenza e dell’opera del Signore. E’ quindi molto importante che Israele, qui rappresentato dal suo ultimo profeta, colga in quale modo Gesù adempia le profezie, e quale sia la fisionomia profonda della presenza e dell’opera messianica. Bisognava aspettare un re potente che imponeva la pace con la forza, oppure un re mite e umile, un “servo del Signore” che avrebbe inaugurato un regno del tutto diverso rispetto ai regni della terra? Si può, oltre a questo, collocare il dialogo a distanza tra Gesù e Giovanni, come una necessaria distinzione tra loro e quindi tra coloro che vengono convocati dalla loro missione; osserviamo infatti come i “discepoli” di Giovanni hanno un ruolo importante. La domanda stessa che Giovanni invia a Gesù può far pensare che Giovanni avesse un dubbio sulla fisionomia profonda della personalità e della missione di Gesù di Nazareth. Ma più profondamente si deve dire che questo dialogo è il paradigma perenne dell’illuminazione che le Scritture ricevono dal Figlio di Dio.
La risposta del Signore a Giovanni è data non da un preciso discorso di Gesù su di Sé, ma da due grandi vie di rivelazione: la salvezza dei piccoli e dei poveri, e la luce che le Scritture antiche ricevono e danno circa quello che sta avvenendo. E’ affascinante che, per rivelarsi, Egli in certo modo “si celi” all’interno della sua opera e delle Scritture profetiche che parlano di Lui! In Lui si incontrano pienamente la vicenda della liberazione dei poveri, e il compimento delle profezie, qui rappresentate dal ricordo di Isaia 35,5 e 61,1. In questo grande incontro tra la Parola e la Storia, Gesù è pienamente svelato come il Messia atteso, come il Cristo – cioè l’Unto – di Dio. L’attesa quindi è finita.
Approfitto per fare una considerazione di cui non avrete nessun bisogno, ma che non sempre mi appare presente nella predicazione. Sarebbe un errore madornale, e anzi l’esatto contrario di quello che oggi Dio ci regala con queste parole, il pensare che dunque quelle antiche Scritture non servono più. Oggi ci viene detto che solo attraverso un incessante incontro tra le Scritture e la storia, il Cristo Gesù viene rivelato e donato. Senza questo, il rischio è quello di una riduzione del cristianesimo ad un catechismo astratto e ad un codice etico pesante come un macigno. Gesù “emerge” continuamente dalla storia di ogni tempo e di ogni luogo, quando in essa quelle Scritture illuminano e sono illuminate dal loro compimento nel Vangelo di Gesù.
Tutto si conclude con il breve, essenziale ver. 23. Nella Scrittura lo scandalo e lo scandalizzare-scandalizzarsi è sempre in qualche modo intrecciato con la “piccolezza”: quella dei piccoli, quella di Gesù che è umanamente “piccolo”, quella dei discepoli che sono piccoli perché sono di Cristo. Qui Gesù manda a dire a Giovanni che è beatitudine della fede e della pace accettare con gioia profonda che il regno nuovo dell’elezione dei piccoli e dei poveri si attui nel farsi piccolo di Dio nella carne di Gesù e nella sua Pasqua di morte e di gloria.
Trovo bello che Gesù, udita la domanda posta dai discepoli di Giovanni, non risponda “a parole”, ma “con i fatti”: azioni benefiche, vivificanti, liberatrici. Solo dopo risponde verbalmente, peraltro con parole di Isaia. E’ stato notato che le opere elencate sono sei: è il simbolo della creazione, compiuta in sei giorni; il simbolo suggerisce quindi che Gesù sta riprendendo e completando l’opera creatrice di Dio, restaurando ciò che si è incrinato e riportando l’uomo al modello divino. Ora abbiamo orecchie che possono ascoltare la Parola, occhi che possono “vedere” il compimento delle scritture, gambe valide per camminare verso quella pienazza di vita portata dal Signore…
La parola di Gesù che risuscita, salva e si diffonde oggi diventa “annuncio”. Giovanni Battista riceve l’annuncio in carcere di tutti gli avvenimenti e manda suoi discepoli… Gesù risponde ai messaggeri con i fatti e questi ritornano da Giovanni…
Ho pensato molto a Giovanni Battista che pur non vedendo nulla (è e resta in carcere fino alla morte) accoglie l’annuncio dei suoi discepoli. Anche noi nelle nostre prigionie e povertà ascoltiamo la parola dei fratelli che ci fa conoscere l’avvento del Messia, i fatti che lo accompagnano visibili e chiari solo se letti con gli occhi della fede e il tempo nuovo che comincia. Un Signore di cui non ci si deve scandalizzare. Siamo piccoli perchè “Ai poveri è annunziata la buona novella”.