31 Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». 33 E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». 34 Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».
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Mi sono sembrati molto densi i primi due versetti. Da una parte satana che cerca di vagliare gli uomini come il grano e dall’altra il Signore che prega perché non venga meno la fede.
Ho trovato forte il richiamo a Giobbe, dove mi sembra ci sia ancora più esplicita questa ‘contesa’.
La risposta di Pietro mi è sembrata ancora più ricca in Giovanni, dove anziché parlare di ‘andare alla morte’ Pietro afferma ‘Darò la mia vita per te!’. Mi ha anche colpito che sia Luca che Marco aggiungono che anche gli altri discepoli esprimono la loro promessa di fedeltà.
Ricordo che un diacono della Chiesa di Bologna, che ora vive a Gerusalemme, sottolineava la bellezza e la potenza del Vangelo che alla fine di Giovanni va a prendere proprio Pietro per affidargli il suo gregge.
Personalmente il setaccio con cui satana vaglia gli uomini mi ha ricordato quei giochi in cui l’unico modo per riuscire è stare uniti, insieme. Penso valga anche per noi, tra noi e con Lui.
In questo breve scambio di parole tra Gesù e Pietro (vers.31-32) – siamo ancora in una memoria evangelica che è del solo Luca – riceviamo una sintesi mirabile sulla vita del cristiano: come è, sostanzialmente, questa vita, e poi, ai vers.33-34, come non è. E’ una vita tentata dal satana. Proprio perchè discepolo del Signore, proprio perchè chiamato alla figliolanza divina, il cristiano è esposto alla tentazione. Questa “prova” è dunque un onore, e quanto più alta e profonda è la chiamata, e quanto più grande è il compito che ne consegue, tanto più tale prova è presente. L’immagine del vaglio del grano mi sembra suonare quasi positiva, quasi un onore che accompagna la vita del discepolo. “per vagliarvi”, dice, quindi sembra trattarsi di una prova prevista per tutti.
Al ver.32 ecco annunciata la bellezza della preghiera di Gesù, dunque la sua partecipazione positiva e potente alla vicenda della nostra fragilità. Mi pare molto bello che non si tratti di una perdita della fede, ma di una “caduta” interna alla vita di fede. Gesù prega affinchè il tradimento di Pietro non porti al venir meno della sua fede. Il peccato è interno alla vita di fede. E per questo la preghiera di Gesù per il suo discepolo impedisce la caduta della fede e apre al ravvedimento. Arrivo a pensare che solo la fede consente di sperimentare l’amarezza della caduta e la grazia del pentimento; e quindi questo non essere abbandonati da Dio anche nel peccato. Per questo mi sembra si carichi di intensità il compito di confermare i fratelli. Viene qui dato a Pietro il compito che in altri testi egli riceve a seguito di una esperienza di particolare illuminazione spirituale, come in Luca 9,18-21 e nei testi paralleli di Matteo e Marco, oppure dopo il mirabile dialogo sull’amore in Giovanni 21. Qui sembra dunque che sia proprio l’esperienza triste e grande del peccato e del ravvedimento a dare a Pietro una particolare forza nel compito di confermare nella fede i suoi fratelli.
La risposta-obiezione di Pietro mostra peraltro come la vita cristiana “non è”. Al ver.33 egli professa e proclama la sua certezza di fedeltà. I vers.33-34 hanno paralleli negli altri tre Vangeli, con piccole varianti. Luca ricorda addirittura la convinzione di Pietro d’essere in grado di sostenere persino la prigione e la morte per essere fedele al Signore. Ma non è questa l’esperienza profonda della fede! La fede è la fede del peccatore salvato e pentito, come abbiamo visto. Una presunta “certezza” di fede espone inevitabilmente alla debolezza della fede stessa. L’immagine del gallo che con il suo canto precede l’alba, secondo un istinto legato alla rigida fissità dei fenomeni naturali, sembra voler sottolineare l’ineluttabile esperienza del peccato. E’ parte di tale esperienza negativa il fatto che il tradimento consista nel negare di “conoscere” proprio Colui che ci ha chiamati alla salvezza.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
In questo dialogo tra Gesù e Pietro, avvenuto in un momento molto importante mi ha incuriosito l’insistenza del Signore: lo chiama di nuovo per nome “Pietro” e ribadisce “dico a te…”.
Che tono di voce ha usato?
Quando il gallo canterà, Pietro ricorderà queste parole e grazie a loro piangerà per aver spezzato il suo legame con Gesù. Ma scoprirà anche che non tutto è perduto.
Satana cerca in tutti modi di spezzare il vincolo Signore-uomo (come con Adamo, con Giobbe, con Gesù stesso nel deserto).
Ma le Parole che il Signore dice personalmente ad ognuno di noi hanno una straordinaria capacità di mantenere vivo questo legame, di mantenere accesa la luce della nostra povera fede: sono dei ponti che attraversano le nostre giornate, i nostri peccati, le nostre solitudini.
A noi, che non siamo Pietro, oggi attraverso il Vangelo è data la possibilità di godere dello stesso regalo. “Andrea, dico a te!”
Una osservazione letta che mi è parsa interessante: Luca, nella sua passione, presenta ai lettori tre tipi di percorso: il discepolo che tradisce; il discepolo che rinnega (tre volte, cioè in modo completo, definitivo), ma che poi trova la via del pentimento; infine il ladrone sulla croce: un criminale…, ma gli basta un attimo per accedere alla salvezza.- E noi, come ci orienteremo? …Possiamo avere fiducia: il Signore non ci chiede di morire per lui; è lì a confermare la nostra fede. E anche noi, proprio con le nostre debolezze, possiamo confermare a vicenda l’orientamento fedele della nostra vita.
In questo inizio così accorato, con questa bellissima ripetizione del nome proprio, “Simone, Simone”, mi sembra di leggere tutto l’affetto e la comprensione, ormai più paterna che fraterna, di Gesù, davanti alla fragilità e alla debolezza dell’uomo. Un amore che si manifesta subito in maniera concreta con due grandi segni: la preghiera perché, nonostante la prova, non venga meno la fede e la fiducia che si manifesta nell’incarico di confermare in questa fede i fratelli. Come osserva Andrea, è molto bello sapere che questo dolce richiamo è, in qualche misura,rivolto a ciascuno di noi!
Il “cercare” di satana si potrebbe intendere come il reclamo di una verifica di quello che potrebbe essere suo; ma il Salmo 99,3 proclama: Egli (Dio) ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. L’inizio del testo di oggi può evocare il libro di Giobbe. Il potere di Satana non è assoluto, ma subordinato. Questo vaglio è permesso, ma nel disegno del Signore è volto al bene.
La preghiera di Gesù per Pietro riporta al testo di Esodo 17 ascoltato domenica scorsa: tanto quanto Mosè prega con le mani alzate, il popolo vince la sua battaglia contro Amalek.
In Luca, nella risposta di Pietro appare meno un problema di contare troppo sulle proprie forza; anzi c’è la bellezza di quel “con te” che riprende quanto Gesù aveva detto rispetto al desiderio ardente di mangiare questa Pasqua “con loro” e L’essere loro quelli che hanno perseverato “con lui” nelle sue prove. Verrebbe da pensare che qui il testo ponga più la sottolineatura sulla necessità di questo passaggio pur drammatico, e sul fatto che neppure il rinnegamento può rompere il vincolo; e nell’abisso del rinnegamento Gesù ancora è con Pietro, per la forza della sua preghiera per lui e forse è possibile osare dire che misteriosamente anche Pietro, nella sua dimensione profonda, è ancora con Gesù, nella misura che la sua fede nonostante tutto non cessa per la forza di quella stessa preghiera. Per cui il ritorno è possibile.
Martin Buber sottolinea che il ritorno è una categoria fondamentale nella concezione ebraica del cammino dell’uomo, e che l’uomo del ritorno e innalzato più in alto dello Zaddik perfetto che non ha conosciuto l’abisso del peccato.Per la conferma dei fratelli Pietro, e con lui tutti quelli che a ciò sono chiamati, deve percorrere tutto il percorso di prova, di rinnegamento e di ritorno.