34 State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; 35 come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
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Al v. 34 il comandamento «state bene attenti» è propriamente «state attenti a voi stessi», «badate a voi stessi». Verso la conclusione del suo lungo discorso sulla fine di tutte le cose, Gesù richiama l’attenzione dei discepoli al proprio cuore, all’interiorità delle proprie persone. In effetti, tutto quanto precede, pur importante, poteva indurre i discepoli ad un atteggiamento eccessivamente estroverso, preoccupato delle dimensioni esterne: le belle pietre e i doni votivi del tempio (cf. v. 5), i molti riferimenti ingannevoli (cf. v. 8), le guerre e le rivoluzioni (cf. v. 9), i terremoti e le pestilenze (cf. v. 11), i segni cosmici (cf. v. 11.25), i tradimenti e i processi in tempo di persecuzione (cf. vv. 12-18), l’assedio di Gerusalemme, con l’invasione dei nemici e la deportazione in esilio (cf. vv. 20-24). Perfino l’invito a guardare il fico e le altre piante, metafora di un lavoro di discernimento dei segni dei tempi (cf. vv. 29-33), poteva far pensare che i discepoli dovessero esclusivamente rivolgersi al di fuori di se stessi. Gesù riporta ora il suo discorso all’essenziale: ciò che veramente conta è all’intero del cuore, è lì che si giocano i termini decisivi della vita e della morte, del senso dell’esistenza.
Le dissipazioni, le ubriachezze e gli affanni della vita possono appesantire il cuore (cf. v. 34). Il termine «dissipazioni» è singolare ed indica letteralmente l’ubriachezza, l’ebbrezza, la pesantezza di testa dovuta al vino, la crapula. Il sostantivo c’è solo qui in tutta la Bibbia. Nell’Antico Testamento il verbo corrispondente è associato all’uso eccessivo di bevande inebrianti: «Ma poi il Signore si destò come da un sonno, come un prode assopito dal vino» (Sal 77,65). In Is 24,20 si citano insieme «l’ubriaco e il crapulone»: nei vv. precedenti e seguenti si descrivono le ultime sventure che colpiranno l’umanità nel giorno del giudizio di Dio (cf. Is 24,16-23). In Is 29,9 leggiamo un invito («ubriacatevi ma non di vino») inserito in un passo nel quale viene descritta la visita di Dio che vuole punire e annientare il suo popolo (cf. Is 29,1-10).
L’abitare del v. 35 e il comparire del v. 36 indicano rispettivamente, in senso proprio e immediato, lo stare seduti e lo stare in piedi. Chi lascia che il proprio cuore si appesantisca rimane seduto e viene preso al laccio, mentre chi vigila pregando in ogni tempo può scappare in fretta e rimanere in piedi davanti al Figlio dell’uomo.
Una prima cosa che mi colpisce è l’assimilazione degli ”affanni della vita” con le dissipazioni e le ubriachezze. Questa affermazione mette a confronto aspetti che normalmente giudichiamo in modo molto diverso…invece qui c’è una indicazione molto forte a considerare una dissipazione anche una vita tutta concentrata su se stessa (credo sia soprattutto questo che genera affanno) e non affidata al disegno del Signore (guardate gli uccelli del cielo…).
Nell’invito a vegliare e pregare ogni momento vedo, al di là di un sia pur importante momento di preghiera rituale, una adesione sempre più profonda alle Parole che Gesù ci ha insegnato, tale da rendere il nostro pensiero sempre più vicino al suo, facendo così divenire ogni passo, decisione, scelta, atto della nostra vita, preghiera.
Infine sono perplesso sulla nota che la TOB mette al versetto 36 affermando che “si tratta di sostenere la formidabile prova del suo giudizio”. Immediatamente mi è venuto alla mente il “Giudizio universale” della cappella Sistina, formidabile, appunto e quindi insostenibile (per lo meno per me). Al versetto precedente, sempre la TOB, propone al posto di “abbiate la forza”, “perché siate giudicati degni”: mi sembra che questo affidi il giudizio non solo alle nostre capacità ma alla misericordia di Dio che attraverso la pasqua di Cristo ci rende “degni” di accedere al suo, altrimenti insostenibile, giudizio.
La prima raccomandazione mi è sembrata molto interessante ‘i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita’.
Il Signore mi pare che regali ai suoi, oggi, il modo per vivere con Lui le giornate e la vita. Non ‘distraendosi’ ma vegliando e pregando in ogni momento’. ‘Solo in Dio riposa l’anima mia, da Lui la mia salvezza.’ al salmo 62. Mi sembra di capire che solo così gli affanni della vita non ci appesantiscano il cuore.
Comparendo ogni giorno davanti al Signore con le nostre ‘distrazioni’ e i nostri ‘affanni’ non avremmo bisogno, forse, di cercare in dissipazioni, disimpegni, o perdite di tempo, la pace del cuore. Pace che solo il Signore ci può mettere nel cuore. Come nei versetti di oggi.
Personalmente mi sembra che la società in cui viviamo, e i suoi media, remino decisamente in direzione contraria.Parlo per i più giovani, almeno. Me compreso.
“Il cuore non si appesantisca”. Nella spiegazione della parabola del seminatore la terra buona era identificata con quelli che ricevevano la parola “con cuore buono e bello”. Al contrario il cuore appesantito lo si può paragonare a quelle situazioni, la strada, il terreno sassoso, le spine, descritte dalla parabola.
Rispetto al vegliare abbiamo citato il capitolo 6 del libro della sapienza “chi veglia per la sapienza sarà presto senza affanni” e il Cantico: io dormo ma il mio cuore veglia”.
La forza di sfuggire e di «stare» non è una forza naturale o morale. Da questo punto di vista nessuno ha questa forza. Alla fine del cap. 6 del libro dell’Apocalisse viene detto: “…nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il giorno della grande ira e chi potrà “stare”?”. Al cap.7 dello stesso libro vengono presentati invece i tanti che “stanno” davanti al trono e all’Agnello per il servizio liturgico. La forza di cui si parla oggi nel Vangelo appare di più quella fede/fiducia dei piccoli/poveri/peccatori – compagni dell’Agnello-, che abbiamo incontrato fin qui nel cammino nel Vangelo di Luca.
Penso che la “forza di sfuggire” e tutto quanto deve accadere non voglia dire che i credenti debbano mirare ad essere esentati dalle grandi tribolazioni cosmiche di cui il Signore ha parlato, ma, del tutto partecipi di esse, debbano mirare a viverle “stando al cospetto del Figlio dell’uomo”, cioè accogliendo tutto all’interno del rapporto forte con Lui e come proveniente da Lui. E’ questo che vuol dire vivere nella preghiera continua e nella vigilanza