20 Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. 21 Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; 22 saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.
23 Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24 Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. 28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
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La prima parte del Vangelo di oggi mi sembra rilanci ancora più drammaticamente i segni annunciati ieri. ‘devastazione’, ‘giorni di vendetta’,’guai alle donne che allattano’, ‘grandi calamità’, ‘ira’, ‘calpestata dai pagani’. Fino a quando? mi verrebbe da dire.
Il mistero del male e della sofferenza mi sembra oggi un po’ spiegato dal Vangelo, che più grande, riesce a imprigionarlo. Nel momento più tremendo dove gli uomini ‘muoiono per la paura’ e le potenze dei cieli sono sconvolte..ecco il Figlio dell’uomo viene.
Ho visto questo vicenda del male e della venuta del Signore come un richiamo ancora alla Croce, alla Pasqua e alla sua vittoria sulla morte, sulla devastazione, sul peccato.
Così come nella storia (forse è difficile vederlo) il Signore nelle nostre vite si muove in questo modo e ci dice ‘alzatevi’ che dal greco si avvicina molto a ‘risorgere’.
E come nel versetto 28, liberaci dal male, o Signore.
In continuità col passo di ieri, quello di oggi tratta della fine di Gerusalemme (cf. vv. 21-24) e della fine della creazione (cf. vv. 25-28). Entrambi gli eventi sono presentati vicini e prossimi al compimento: «la sua devastazione è vicina» (v. 20), «la vostra liberazione è vicina» (v. 28).
La devastazione o desolazione di Gerusalemme (cf. v. 20), che porta all’invasione da parte dei pagani e all’esilio di Israele (cf. v. 24), si riferisce alla storia passata del popolo eletto ma anche alla sorte futura della città, simbolo del popolo stesso. In particolare la «devastazione» è una ripresa del profeta Daniele (9,7); i «giorni della vendetta» riprendono Dt 32,35; Os 9,7; Ger 46,10 (in questi passi Dio si vendica dei nemici di Israele); «saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli» (v. 24) è una memoria della deportazione nell’esilio di Babilonia (cf. Dt 28,64-68; Ger 21,5-7).
La fine della creazione è presentata in termini drammatici: segni cosmici, angoscia e ansia dei popoli, morte per la paura e per l’attesa di quanto sta accadendo (cf. vv. 25-26). D’altra parte lo stesso avvenimento è visto come un momento di riconoscimento del Figlio dell’uomo che viene (cf. v. 27) e perciò come qualcosa di estremamente positivo, di atteso e di desiderabile: «alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28).
La «liberazione» (v. 28) è propriamente la «redenzione», cioè il momento del riscatto da una condizione di schiavitù. Secondo s. Paolo essa è rivolta a tutto il genere umano, coinvolto senza eccezione nella schiavitù del peccato, e si è realizzata gratuitamente mediante il sangue versato da Cristo sulla croce (cf. Rm 3,23-24; Ef 1,7). Con la redenzione tutti gli uomini ricevono il segno indelebile dello Spirito Santo (cf. Ef 4,30) e vengono adottati come figli di Dio (cf. Rm 8,23).
Il testo è incastonato tra due termini fondamentali, la perseveranza di cui alla chiusa del passo letto ieri e la redenzione di cui all’ultimo versetto di quello di oggi. Questi due stessi termini li ritroviamo in Romani 8, 22-25: Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nella doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, “la redenzione” del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo “con perseveranza”.
In qualche modo ognuno di noi è partecipe sia della paura mortale descritta al v. 26 che della attesa nella speranza per la redenzione. Il testo di oggi è un invito ad attaccarci con più determinazione a quest’ultimo elemento.
Gesù ci invita a cogliere i segni della prossimità di due realtà che appaiono contrastanti, la desolazione di Gerusalemme (v.20) e la nostra redenzione/riscatto (v.28); e ad ordinare la nostra vita di conseguenza. Queste due realtà però non sono di forza simmetrica; infatti la desolazione di Gerusalemme è temporanea (v.24), mentre la redenzione è eterna. Questa asimmetria può far ricordare 2 Cor 4,17: “Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata e eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo su cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne”.
Fine di Gerusalemme, fine del mondo, fine del “nostro” tempo… Ne abbiamo un po’ paura, e le immagini del linguaggio apocalittico usato nelle s. scritture non facilità la nostra tranquillità. In realtà, alcune immagini si spiegano o si capiscono agevolmente: per es., il pericolo accentuato per le donne che aspettano un figlio, o per i bambini: gli eserciti invasori di tutti i tempi hanno sempre infierito verso queste categorie di persone. Ma sarebbe troppo lungo (e difficile, per me) esaminare le diverse affermazioni del brano… L’importante è la apparizione del Figlio dell’uomo, quell’uomo perfettamenbte realizzato nel dono di sè, che noi identifichiamo nel Signore Gesù… E poi, quell'”alzatevi, levate il capo”: è detto per noi, chiamati a stare ben dritti, in piedi, col capo alto, cioè ad una grande dignità, ad una vita di persone “liberate” e risorte definitivamente a vita nuova.
Si da per scontato che questi passi biblici si riferiscano alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., invece questa profezia è un evento futuro che segna la fine di questo mondo deturpato dal peccato e la restaurazione della terra come era prima della caduta di Adamo.
Quando Gesù rispose ai discepoli su quando sarebbe stata distrutta Gerusalemme Gesù avvertì che non sarebbe rimasta pietra sopra pietra e che dovevano fuggire per avere salva la vita, fu una profezia verbale e la generazione dei giovani al tempo di Gesù (i figli) e degli stessi apostoli, la visse in prima persona.
Tuttavia, queste parole non possono riscontrarsi nel Vangelo come riferimento della distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., perché il Vangelo non era stato ancora scritto.
Pertanto, le parole di Luca al capitolo 21 , sono esclusivamente profetiche per la fine del mondo e il ritorno di Gesù.
“Si crede che la distruzione di Gerusalemme si riferisca al 70 d.C., molto è dovuto alla scrittura dei quattro Vangeli composti dopo la distruzione di Gerusalemme … “In una certa misura, ALTERATI PER ACCORDARSI CON I FATTI CONOSCIUTI, (la distruzione di Gerusalemme già avvenuta)… è presentata come una predizione fatta prima dell’evento…” L.Cioni, B. Pandolfi, M. Cardilli – Signore che io veda! Ed. Paoline, pag. 9-10.
Chi desidera approfondire questo argomento legga nel sito: wwwavventismoprofetico.it