9 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

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Ho trovato la parabola di oggi molto legata ai versetti di ieri, soprattutto per il ruolo della preghiera e della ‘giustificazione’.
Se nel fariseo ho visto che come il giudice disonesto, non ha rispetto di nessuno, nel pubblicano è evidente il timore che ha di Dio.
L’atteggiamento interiore del pubblicano mi sembra integri l’invito alla preghiera incessante di ieri.
Preghiera che parte, e sembra non vada oltre, dalla consapevolezza del proprio peccato. Come dice Evagrio (a pag.192 di Vita e detti..), ‘inizio della salvezza è condannare sé stessi’. Giusto Andrea?
Mi ha molto colpito il fatto che effettivamente l’unico modo per sentirsi salvati è sentirsi prima peccatori. Altrimenti..salvati da cosa?
L’ultimo versetto mi ha riportato all’Esaltazione della Croce, e al percorso della Pasqua nelle nostre vite che non può che partire da un sentito ‘o Dio,vieni a salvarmi’.
Personalmente oggi Vangelo molto liberante.
Propongo una diversa traduzione del ver.9 per mettere in maggiore evidenza il dramma di solitudine del fariseo come vero centro problematico dell’interpretazione della vita. Alla lettera dunque mi sembra si possa rendere la frase con “…alcuni che in se confidano in quanto giusti”. La “giustizia” farisaica in questo modo non verrebbe interpretata come presunzione, ma piuttosto come un bastare a se stessi che priva anche della relazione con Dio.
Possiamo facilmente verificare infatti, che il fariseo in realtà usa impropriamente anche il verbo che apre la sua preghiera – “O Dio, ti ringrazio…” – perchè il seguito mostra come egli non abbia niente da riconoscere come grazia del Signore, perchè è lui stesso a praticare la sua virtù, è lui che non è “come gli altri uomini…e neppure come questo pubblicano”(ver.11). E di più! Osservate quel ritorno della forma “riflessiva” che conferma la sua solitudine, quando dice, sempre al ver.11, “Il fariseo, stando in piedi (all’opposto sarà la posizione del pubblicano!), pregava così tra sè”!! E’ chiaramente un controsenso parlare di una preghiera “tra sè”! La preghiera è la suprema affermazione della realtà della relazione, perchè celebra e attua la comunione con una persona che non si vede! In realtà il fariseo si rivolge all’idolo di se stesso! Quello che egli elenca sarà senz’altro vero, ma si tratta semplicemente dell’elenco dei suoi meriti, e non il frutto della relazione che Dio ha stabilito con lui. Come Dio, anche “gli altri uomini”, e anche il pubblicano, hanno solo la funzione di evidenziare la sua solitaria virtuosità-legalità.
Come il fariseo elenca le sue opere virtuose, così il pubblicano denuncia la sua condizione globale di “peccatore”. Anche il suo atteggiarsi è significativo – “..a distanza, non osava nemmeno (alla lettera, dice addirittura “non voleva..”!) alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto…”(ver.13). Ma la sua preghiera è assolutamente vera!:”O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il verbo usato da Luca per quell'”abbi pietà” è molto raro e molto forte. Fa’ riferimento a quell’oggetto di supremo valore spirituale per la fede dei padri ebrei che era il “propiziatorio”, oggetto collocato nel luogo più santo del Tempio e segno della misericordia divina per il popolo eletto. Qui è come se il pubblicano chiedesse: “Sii propiziatorio per me”. Secondo la lettera ai Romani è Gesù il nostro propiziatorio. Il pubblicano non può fare affidamento se non nella comunione salvifica che Dio ha stabilito con lui nel suo Figlio Gesù. Solo questa “relazione” può salvarlo. Non certo le sue opere.
Questo dà un senso ricco anche ai verbi dell’esaltazione e dell’umiliazione che troviamo al ver.14, e che abbiamo già trovato in Luca 14,1. L’esaltazione è appunto il proprio auto-innalzamento, mentre l’umiliazione assume il senso positivo dell’invocazione della comunione con il Signore. Nello stesso senso, il “giustificato” è il peccatore che viene fatto giusto dalla presenza con lui e in lui del Signore Salvatore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Giovanni ha scritto in modo molto più chiaro, ampio e profondo, i confusi ragionamenti che ho fatto sul testo di oggi.
Mi sento molto interrogato da questa parabola su rapporto che noi stabiliamo con il Signore nella nostra preghiera. Passiamo molte ore a pregare, a recitare i salmi, a leggere la Scrittura… Il rischio della solitudine e dell’autosuffcienza è realissimo. Ma il Signore è comunque molto abile a rimetterci in strada e a farci ri-scoprire che abbiamo sete di lui. Così leggerei il versetto finale: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. Anche per il fariseo c’è speranza perchè il Signore ha la bontà di “umiliarlo” per poi regalargli la sua comunione.
“Pregava tra sè” sarebbe, alla lettera, ancora peggio: “pregava verso se stesso”! I farisei, come sappiamo, erano dei “separati” (così dice il termine), dediti all’osservanza non solo delle norme obbligatorie, ma anche di quelle cui erano tenuti i sacerdoti nel compimento della loro funzione sacra. Anche il digiuno, che viene espressamente citato come motivo di merito, non era quello obbligatorio: digiunavano il lunedì e il giovedì in memoria della salita e della discesa di Mosè dal Sinai. Quanta “pietà, o quante “pratiche di pietà”! Forse anche le nostre sono inutili? Notiamo che tra le cose di cui si vanta il fariseo non c’è nulla che riguardi il prossimo; si tratta solo della propria perfezione spirituale… Quanto al pubblicano, sappiamo che questa categoria di persone era assolutamente esclusa dalla salvezza: erano persone “impure”, peccatrici, e anche volendo rimediare, non potevano certo soddisfare la prescrizione del Levitico: restituire ciò che avevano rubato, più un quarto! Non c’era possibilità di cambiamento, tanto che lo stesso Giovanni B. aveva detto loro: Non esigete più di quanto dovuto. – A una persone così Gesù garantisce l’amore di Dio: amore incondizionato, poichè non viene richiesto di cambiare mestiere o cambiar vita… Ma com’è fatto il nostro Dio?
1)Stando in piedi
Gesù ha già lodato la donna peccatrice che si era rannicchiata ai piedi di Gesù piangendo lavando i piedi con le lacrime(Lc 7,38)Gesù sembra quasi metterci in allarme: o ci mettiamo ai piedi di Gesù e dei fratelli, oppure li mettiamo sotto i nostri piedi!
2)Pregare tra sè
La preghiera è relazione, è il grido della nostra impotenza a Dio invece tutto rimane tra sè. Questo “tra sè” ricorda la parabola del ricco stolto che “Ragionava tra sè: anima mia hai a disposizione molti beni, per molti anni, mangia, bevi e datti alla gioia!” (Lc 12,19). E’ una grande lode di sè, che non si apre al ringraziamento verso Dio, ma solo sulle proprie capacità.
3)La lista nera
Ladri, ingiusti, adulteri, pubblicani ecc. Il fariseo ringrazia se stesso di non essere in questa “lista nera”, in realtà per tutta la sua vita Gesù ha cercato loro, perchè dirà al banchetto a casa di Levi: “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Lc 5,31).
4)Chi si umilia sarà esaltato
Davanti a Dio nessuno può stare in piedi, nessuno ha i conti in pari, nessuno ha dei crediti o dei meriti, possiamo solo confidare nella sua misericordia: “O Dio abbi pietà di me peccatore”. Questo capovolgimento delle sorti, è già stato cantato da Maria nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. Maria ci aiuta a comprendere la parabola: Dio è tutto, noi siamo niente, ma il suo Amore, la sua misericordia accolta e restituita ai fratelli ci “giustifica”. Dio non ama il nostro peccato, ma ci ama nel nostro peccato, nella nostra povertà.