18 Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». 19 Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. 20 Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». 21 Costui disse: «Tutto questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza». 22 Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». 23 Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.

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L’episodio dell’incontro di Gesù con questo “capo” chiarisce pienamente la struttura interna dell’intero capitolo. Quest’uomo rappresenta efficacemente la figura del fariseo della parabola, e si pone all’opposto della vedova che supplica il giudice, del pubblicano che chiede misericordia e dei bambini accarezzati da Gesù. C’è peraltro in questo ricco una certa sincerità, e un desiderio vero di bene, insieme ad un apprezzamento della persona di Gesù; e questo contribuisce ad evidenziare una nota della sua personalità, quella cioè di una ricerca e della percezione di dover ancora procedere nella strada del rapporto con Dio.
E’ molto bello il collocarsi del Signore Gesù accanto ai bambini e persino accanto al pubblicano peccatore, quando al ver.19 parla della bontà. Non che con queste parole Egli neghi di essere buono, ma è per affermare che Lui stesso, il Figlio di Dio, e quindi Dio Lui stesso, tutto riceve dal Padre! E’ il modello della “santità” autentica dell’uomo secondo la fede ebraico-cristiana: una santità tutta ricevuta in dono!
I ver.20-21 fanno di quest’uomo il rappresentante di tutto Israele, l’Israele fedele che ora deve “vendere tutto quello che ha”(ver.22), tutto quel ricchissimo “patrimonio” che lo ha portato fino alla presenza del Messia di Dio, che ora si pone davanti a lui come l’unico vero tesoro, nel quale confluiscono tutte le altre ricchezze, compresa dunque la ricchezza della Legge, grande “preparazione”, insieme alla profezia, ma ora da “relativizzare” alla persona, all’opera e all’insegnamento del Cristo del Signore.
Senza ovviamente togliere la realtà della sua ricchezza materiale, mi sembra quindi si possa e si debba cogliere il senso ampio, globale della “ricchezza”. Si enfatizza così il valore supremo e la assoluta connessione tra la fede di Gesù e la povertà. La povertà non è un “accessorio” della fede, ma ne è l’anima e il respiro per quanto riguarda la struttura interiore del credente. Si può dire che la fede è “solo” dei poveri. Molti avranno nella mente e nel cuore il meraviglioso intervento al Concilio di Giacomo Lercaro con un testo preparato da Giuseppe Dossetti, dove appunto si riflette sulla Chiesa non solo come “Chiesa dei poveri” in quanto madre affettuosa e sollecita dei poveri, ma più radicalmente come una Chiesa “di” poveri, come l’assemblea dei poveri che Dio chiama alla salvezza e invia nel mondo ad annunziare ai poveri la buona notizia. Davanti al Vangelo è assolutamente necesssario “farsi poveri”.
La grande tristezza del ricco molto ricco è significativa, al ver.23, dell’ostacolo che ogni ricchezza pone rispetto alla fede in Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Dell’omelia di ieri a Cesenatico del Dongio ricordo in particolare due parole che mi sono rimaste impresse: ‘Spendi tutto’.
Mi sembra sia un’ottima sintesi anche del brano di oggi. Al notabile viene spiegato come ad un certo punto occorre passare dal ‘fare qualcosa’ allo ‘spendere tutto’.
Al capitolo 10 di Luca avevamo visto già che la misura dell’amore, per come la pensa il Signore, è la totalità. Nel parallelo di Marco ho visto che prima di dirgli queste cose, ‘fissatolo, lo amò’. Ho pensato che sia, perché ci ami, che il Signore ci concede di muoverci e sperare di vivere nella logica della spesa d’amore, della Croce, di ‘un’esistenza eucaristica’(U. Neri). Un dono.
Ed è forse in questa riofferta di sé e dei propri beni al Padre, l’unica risposta possibile alla bontà misericordiosa del Padre.
Mi chiedo chi ha il coraggio di fare una domanda così temeraria a Gesù: “facendo cosa erediterò la vita eterna?”. Deve essere qualcuno che ha le spalle larghe e ha già fatto moltissimo… tutto concentrato sul suo “fare”: “TUTTO questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza”. Un agonista desideroso di sfide e prove continue.
Ma Gesù sorprende anche chi, come me, è pigro, ha fatto e fa pochissimo. Quel “tutto” che il capo aveva già fatto, quei “tanti” beni che possiede deve lasciarli tutti, venderli, darli ai poveri, liberarsene… e poi andare e seguirlo!
Mi ha molto colpito il contrasto tra “tutto” e “ancora una cosa”. Questa “sola cosa” che manca ne comprende in realtà tantissime: vendere, distribuire, andare, seguirlo.
Ma il Signore riesce a sintetizzare in una parola tutto il nostro cuore, a metterci davanti una strada nuova, ad attirarci, a farci preferire la fatica della Pasqua alla tristezza della nostra solitudine.
Quanto il capo dice al v.21 riguardo alla custodia dei comandamenti non è negato o contestato da Gesù. Gesù però separa il custodire i comandamenti dal custodire per sè la ricchezza. Nessuna ricchezza in ogni modo può essere per sè stessi, come anche il testo di ieri, domenica, metteva in evidenza, ricordando anche in sintesi che non si può servire due padroni, Dio e mammona.
Quanto Gesù chiede oggi al v.22 non vuole rappresentare un’ulteriore e più gravosa difficoltà rispetto all’osservanza dei comandamenti, ma vuole segnalare il passaggio delicato e non eludibile, il fatto importante e discernente della nostra vita; il riconoscimento in lui della vita eterna e del regno di Dio. Domani sarà chiamato “cruna dell’ago”, nei capitoli scorsi “porta stretta” .
Come al Vangelo di luca è piaciuto rimarcare la portata della nostra fragilità: ad es. la “grande” febbre della suocera di Pietro, o l’uomo “pieno” di lebbra, in controluce oggi il capo non viene detto ricco, ma ricchissimo. Ci si può domandare in relazione a chi o a che è così enormemente ricco: certamente e in prima istanza in confronto a tutti i poveri di cui ci ha parlato il Vangelo di Luca; ma insieme a loro forse anche in confronto al regno di Dio, che in Cristo si è fatto povero, in un cammino di assimilazione alla nostra povertà. Non si ha qui quel incontro alla pari indicato forse nel passo precedente dall’ambivalenza di significato del ricevere il Regno di Dio come un bimbo.
Luca non dice nemmeno che il capo se ne va, è la tristezza in sè che segna la distanza; si può notare la differenza con Zaccheo, del quale invece vedremo la gioia.
Ripeto un’osservazione che è già stata fatta, ma che mi sembra importante. Secondo queste parole del Signore, per pervenire alla “vita eterna” – un obiettivo che riguarda tutti gli uomini, di qualunque convinzione o religione -basta attenersi ai comandamenti. Però qui Gesù ha una svista: si dimentica di suo Padre! Non cita la prima tavola dei comandamenti, che contiene quelli riguardanti Dio. Dunque, ciò che è assolutamente necessario è il rispetto dei precetti riguardanti gli altri: rispetto delle persone, delle loro relazioni e affetti, della loro vita e cose…; il rispetto dei vecchi genitori (che allora voleva dire mantenerli economicamente)… E’ quello che Gesù ci chiede… Per seguirlo come discepoli, poi, c’è da farsi poveri come ha spiegato d. Giovanni. Far parte di una comunità che condivide; compartire se stessi e quello che si ha…, non per diventare tutti materialmente bisognosi, ma per alzare almeno un po’ il livello di vita di chi manca del necessario.
Quest’uomo è “ricco”. Ricco di beni materiali, ma anche di virtù morali. Ha osservato la legge fin dalla giovinezza. Ma una cosa gli manca: vendere quello che ha, darlo ai poveri, farsi povero lui stesso e seguire Gesù. Ha fatto tutto, ma gli manca l’ultimo passo. Un salto. Per seguire Gesù bisogna lasciare tutto, come hanno fatto i discepoli. Cosa vuol dire per noi oggi? Forse mettere il centro della nostra vita fuori di noi. (“un tesoro nei cieli”). Non in quello che abbiamo, non in quello che facciamo, non nelle nostre virtù, nemmeno in quello che siamo. Solo così potremo seguire Gesù.