15,1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7 Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10 Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Seleziona Pagina
“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”. Sento lo stridente contrasto fra questa capacità di Gesù di far avvicinare i più poveri e i più rifiutati dal senso morale comune e la situazione che viviamo spesso, e cioè di ritrovarci “fra i soliti”, di organizzare magari catechesi “per noi”, senza riuscire neanche ad allargare la nostra ristretta cerchia. O forse siamo noi, che vogliamo seguire il Signore, a venire invitati oggi da Lui a cambiare il nostro cuore, e a scoprire quanto, per la verità, siamo noi quei pubblicani e quei peccatori. Se cambiamo il nostro cuore, mettendo al primo posto il rapporto con Lui, anziché gli intenti attivistici e organizzativi, e riscopriamo la nostra fondamentale debolezza e povertà, ecco che l’amore del Signore ci si chiarirà e ci si dispiegherà davanti in modo personale, come quello che Lui ha per l’ultima pecorella. Il resto verrà.
Consideriamo con attenzione il fatto che nel grande cap. 15 di Luca i protagonisti sono tre: Dio, i peccatori, ma anche, e, forse in modo emergente, i farisei e gli scribi. Sono questi con la loro mormorazione l’occasione del contenuto di tutto il capitolo. Sono loro, ancora, il sottile filo conduttore che collega il cap. 15 a quanto abbiamo già attraversato nel cammino del Vangelo. Sono loro, evidentemente, la maggiore preoccupazione del Signore. Certo, la vicenda dei peccatori è emergente; ma essa è intermente avvolta dalla potenza della misericordia divina. Invece l’animo, la reazione e l’atteggiamento interiore dei farisei e degli scribi tengono sospeso il racconto evangelico, fino alla figura culminante del figlio maggiore della parabola che incontreremo ai vers. 25-32. C’è una domanda preoccupata che sottende a tutto il capitolo: sarà capace la comunità credente, soprattutto nei suoi massimi responsabili, di gioire della gioia del cielo per il ritrovamento di chi era perduto? Farà di questa ricerca e di questa attesa del peccatore il dato profondo del suo animo personale e collettivo?
Le due brevi parabole di oggi sono molto vicine tra loro. Io vi consiglio di non trascurare l’immagine di questa donna che ha perso la moneta e la ritrova, immagine meno celebre di quella del pastore nella tradizione biblica, immagine che è del solo Luca, e in certo senso enfatizza la quasi assurdità di queste ricerche di ciò che si è perduto fino al quasi ridicolo di una casa messa sottosopra per una moneta. D’altra parte una nota della TOB fa notare che per una donna che ha solo dieci monete, la perdita di una non è poco; quasi a dire una certa “povertà” di Dio, che rende prezioso per Lui anche uno solo dei suoi figli, come ci dirà la parabola seguente.
Mi piace sempre notare che sia il pastore, sia la donna, “hanno perso” la pecora e la moneta. La preziosità della pecora e della moneta per i loro possessori, fa sì che non si dice che sono loro, la pecora e la moneta, ad essersi perse, ma sono il pastore e la donna ad averli persi: un singolare carico di responsabilità, uno squarcio bello e delicato sulla…coscienza ferita di Dio! A questo aggiungo la considerazione circa l’assenza di un atteggiamento punitivo e neppure cautelativo, nei confronti di ciò che è stato ritrovato. Ma solo la gioia. Ancora un’altra nota comune tra le due immagini: la ricerca da parte del pastore e della donna è senza fine: “…finché non la ritrova”( vers. 4 e 8). E ancora, lo stesso coinvolgimento di amici e vicini perché partecipino alla medesima gioia. L’immagine della moneta sembra invece accentuare il dato di non-partecipazione di ciò che è perduto rispetto alla ricerca di chi lo vuole assolutamente ritrovare.
Tutto culmina nella richiesta esigente a che la comunità della terra si unisca sinceramente e profondamente alla comunità del cielo nella gioia per il ritrovamento di quello che era perduto. Ma qui si dà la conclusione “imbarazzante” delle due paraboline: Gesù afferma di averci parlato del peccatore che si converte! Difficile leggervi qualcosa che si aggiunga, e in qualche modo “risponda” all’unica cosa che sembra di vedere: appunto, l’indomita ricerca di chi ha perduto ciò che gli è caro. Ricordiamoci che le novantanove pecore del gregge sono state lasciate nel deserto perché il pastore voleva ritrovare quell’unica che aveva perduta.
Ci è piaciuta la ‘gioia’ che ci sarà nei cieli ogni volta che si converte una situazione di peccato. La stessa ‘gioia’ che nel primo capitolo prova Zaccaria quando, prima ancora di nascere, ha incontrato il Signore.
Questa ‘gioia’ come un
segno della nostra intimità con Lui, della potenza del nostro legame d’amore.
Ci è molto piaciuto anche che un’eventuale conversione dei nostri cuori non è mai un traguardo raggiunto per opere o bravura o intelligenza ma sempre un Dono, da invocare.
Come pecore portate in spalla. Con ‘abbandono umile e totale’ dice la Regola.
La parola “conversione” evoca tradizionalmente pentimento, sforzo, rinuncia, penitenza. Tutto sembra dipendere dalla nostra volontà. E tutto è anche un po’ triste. Il vangelo rovescia questo modo di pensare. La conversione è opera di Dio, che ci cerca con amore, che si sente quasi in colpa del nostro perderci, che viene a cercare proprio noi, unici al mondo, “attentamente” finché non ci ritrova. La conversione è essere portati sulle spalle, in braccio da un Altro. E il resto è solo gioia. Che le parole della chiesa siano parole di accoglienza, di perdono, di misericordia, parole da farsi ascoltare, come Gesù, e da far avvicinare “tutti i pubblicani e i peccatori”.
Il primo versetto, con l’annotazione “tutti” rimarca ancora di più come i pubblicani e i peccatori percepiscano come la parola di Gesù è per loro nel senso forte del termine.
Nel testo è molto messo evidenza il cercare ciò che è perduto. Gesù chiarirà nel passo di Zaccheo che questo non è solo uno dei tanti aspetti della sua venuta, ma ne è il motivo: Il figlio dell’uomo
infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
Colpisce molto l’espressione del v.3 “va dietro a quella perduta”. Se certamente come tante volte il Vangelo ci fa notare, nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù è davanti a tutti noi, e noi non possiamo che seguirlo, peraltro il suo andare è anche un andare dietro, seguendo le tracce di chi si è perduto, e perdendosi per amore per lui.
La donna cerca con accuratezza. Il termine riporta al testo del samaritano; è quindi un attenzione che significa cura, avere caro. Questo spazzare con cura è forse un’immagine parallela a quella ricerca che viene ordinata al servo della parabola dei giorni precedenti:per le piazze e per le vie; per le strade e lungo le siepi.
La donna per cercare la dramma accende la lucerna: se si vuole vedere in questo una immagine della parola profetica, della stessa legge, si coglie tutta la differenza tra Gesù e i farisei: per questi ultimi è motivo di giudicare gli altri; per Gesù luce per poterli cercare.