di Giovanni Nicolini
in “Jesus” dell’aprile 2012

Molti, con ben altra competenza, potrebbero fare memoria di Giulio Girardi. Il suo passaggio al Padre, però, ha suscitato in me memorie affettuose che provo a comunicare. Pensando a un’ipotesi di ministero sacerdotale, mi ero trasferito da Filosofia alla Cattolica di Milano a Teologia in Gregoriana. Erano gli anni del Vaticano II e a Roma si scappava alla fine della quarta lezione per non perdere la relazione che alla Sala stampa vaticana diceva dei lavori svolti nell’aula conciliare. Al pomeriggio, poi, in alcuni Collegi ecclesiastici romani, si riunivano gruppi di libera partecipazione dove si commentavano i lavori dell’assemblea e si rifletteva sui temi più appassionanti elaborati dal Concilio. Frequentavo il gruppo che rifletteva sulla Chiesa dei poveri. Lì ho conosciuto l’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro. Lì ho conosciuto Giuseppe Dossetti. La sera gli incontri più informali: un gruppo bellissimo sul dialogo tra marxismo e cristianesimo, guidato con sapiente competenza da Giulio Girardi. Lombardo Radice era il conduttore di parte comunista, anche lui saggio e coraggioso.

Per noi giovani – avevo venticinque anni – questi appuntamenti erano sostanzialmente omogenei e concordi. La potenza di riflessione del Concilio incoraggiava a pensare e a cercare. Girardi, perito conciliare, era il sapiente commentatore dei lavori del Vaticano II. Con emozione intensa venivamo a conoscere i grandi protagonisti della Chiesa del Terzo mondo, da Helder Camara a Rugambwa, primo cardinale africano. Giulio ci faceva capire come non si potesse più pensare alla Chiesa se non nelle dimensioni universali scoperte dal Concilio, e come i poveri di tutto il mondo si dovessero considerare i veri protagonisti e la provocazione alta per la riforma della Chiesa del Signore. Devo alla passione di padre Girardi l’aver visto con grande favore la proposta di pensare a Bologna come alla Chiesa nella quale spendere la mia vita. Con quanta meraviglia abbiamo ascoltato e ammirato il discorso di Lercaro sulla Chiesa dei poveri, che non si doveva intendere solo come Chiesa madre dei poveri, Chiesa che ama e protegge i poveri, ma come «Chiesa di poveri»! Con molta delicatezza Girardi faceva osservare che quelle parole valicavano una concezione puramente socioeconomica della povertà e proponevano la povertà come l’orizzonte proprio della stessa fede.

Tutto, in quel tempo breve e straordinario, era sostanzialmente concorde e lieto. Il carissimo e anziano padre Lyonnet doveva tenere per noi un ritiro sul Padre Nostro. Essendosi ammalato, ci affidò a un bravo giovane padre gesuita appena rientrato dalla Germania: Carlo Maria Martini. Tempi meravigliosi che ci hanno preservato dalle burrasche della contestazione globale senza perdere la sostanza anche di quel messaggio. Poi tutto è diventato più difficile. Per Giulio Girardi anche più doloroso. Ma il suo animo grande lo ha guidato semplicemente a un amore sempre più profondo verso i poveri di tutta la terra. Per lui, in cielo, in questi giorni hanno preparato una grande festa per il suo arrivo tra loro.