1 Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4 E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5 Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Giovanni 2,1-5

Un po’ di tempo di preghiera mi porta oggi a dare un piccolo consiglio. Considerate la Parola che oggi ci viene donata dal Signore come l’inizio di un “pensiero lungo” che ci accompagnerà fino al termine del cap.4, ma che forse è anche il volto profondo dell’intero Vangelo secondo Giovanni, come se volesse dirci che tutto i significato profondo del Vangelo di Gesù sono le grandi nozze tra Dio e l’umanità. Non credeteci troppo! Forse sto “forzando” la portata di questo testo. Non nego però che da anni vi sono continuamente richiamato sia per il tema globale della nuzialità, sia per il tema fondamentale, oggi presente in modo provocatorio, del mistero del femminile: del “femminile” di Dio e quindi del suo rilievo assoluto nella fede dei padri ebrei, e quindi nella pienezza che tale fede riceve dalla persona e dall’opera di Gesù di Nazaret.
Non mi soddisfa la spiegazione puramente “temporale” che le note delle bibbie danno all’inizio del ver.1: “Il terzo giorno…”. Dicono che questo racchiude in una settimana tutto quello che abbiamo ascoltato. Io preferisco pensare al riferimento profondo alla Pasqua del Signore e quindi all’importanza di quel “terzo giorno”, la risurrezione di Gesù, e quindi l’inizio della nuova creazione e della nuova storia.
Facciamo attenzione alla “scena” che ci viene presentata in questi primi versetti: una festa di nozze, la presenza della “madre di Gesù”, il sopraggiungere di Gesù e dei suoi discepoli alle nozze, la “denuncia” fatta dalla madre circa il vino, la risposta di Gesù, l’indicazione data ai servi da parte della madre. Questi sono i “titoli” di radicale importanza del nostro testo. Proveremo a dire qualcosina su ognuno di essi.
La festa di nozze. Il tema e l’immagine nuziale accompagnano tutta la Bibbia, dal testo della creazione ai molti luoghi dell’Antico Testamento dove si parla della relazione “nuziale” tra Dio e il suo popolo, al grande Cantico dei Cantici, divina poesia d’amore, immagine dell’amore tra Dio e il popolo…
Ora consideriamo la “strana” annotazione del ver.1: “ed era la madre di Gesù qui”. Così il testo tradotto alla lettera. Come se volesse sottolineare questa “presenza” di lei fin da ora! Quindi una presenza, la sua, che la immerge come “nativamente” ed “essenzialmente” nella storia. Teniamo presente poi che la Madre di Gesù – non viene chiamata con il suo nome ma per la sua relazione materna con Gesù – è presente qui, a Cana, e lo sarà solamente ai piedi della croce in Gv.19.
La “chiamata” di Gesù e dei discepoli. Più che “invitato” è “chiamato”. Ed è chiamato “anche” Lui. Come altri sono stati chiamati. Israele è una storia che incessantemente “chiama”. Chiama Dio, certamente. Perché Israele è piccolo e povero! E indirettamente chiama tutti coloro che da Dio vengono mandati in suo nome, per manifestare la sua opera e la sua volontà. Siamo ora alla chiamata decisiva. Viene chiamato Lui e i suoi discepoli, una comunità che lo accompagna e lo rende presente.
La mancanza del vino. Il tema è delicatissimo. Mi sembra da rivedere la proposta di traduzione che dice “venuto a mancare il vino”, perché sembra dire che quindi prima il vino c’era. Ma forse il testo è più radicale e afferma semplicemente che manca il vino. Un codice antico diverso da quello del nostro testo parla esplicitamente di “vino delle nozze”, quindi non un vino qualsiasi, ma quello che occorre per celebrare le nozze. Dunque, nozze bloccate, impedite. Un grande progetto al quale manca la possibilità di compiersi. E tale è la “denuncia” della Madre: “Non hanno vino”, e non come diceva la precedente versione italiana “Non hanno più vino”. Il vino non c’è! Prestiamo attenzione a questo intervento della madre, che sembra voler rivelare la ragione essenziale del suo essere alla festa di nozze ancor prima di suo Figlio! La sua denuncia dice il suo impegno storico, la sua partecipazione forte alla vicenda di queste nozze. L’obiezione al rassegnarsi alla loro impossibilità. E quindi la forza di una speranza che non si arrende. E infine la sua sapienza che sa a chi bisogna domandare.
La severa risposta di Gesù. Propongo una mia lettura non confortata da altri pareri, ma che non mi sembra fuori luogo. Innanzi tutto, l’appellativo “donna”. Questo mi dà l’occasione per sottolineare che la madre comparirà solo in Gv.19,25-27, e anche allora sarà chiamata “Donna” da Gesù sulla Croce. L’appellativo “Donna” ci porta all’inizio della creazione, e particolarmente al testo della creazione della donna in Genesi 2,18-25, e a Genesi 3 e al dramma del peccato. Si tratta infatti della ricostruzione di una comunione nuziale che si è infranta, quella tra l’uomo e la donna, come segno drammatico della comunione infranta tra Dio e l’umanità. Tutta la storia della salvezza ha come suo obiettivo la ricostruzione della comunione, ricostruzione che avverrà in termini assolutamente nuovi e infinitamente profondi. Al punto che quelle antiche narrazioni si possono considerare come “profezia” di quello che in Gesù si compie in pienezza. Dunque Gesù la chiama “donna” e aggiunge la frase difficile e severa: ”Che c’è fra me e te?”. Io preferisco la versione letterale piuttosto di tutti i tentativi di “edulcorare” la frase. Lo preferisco perché mette in evidenza l’intenzione che sta dietro a questa parola, e cioè quella di ricordare-enfatizzare la situazione di rottura. Questo introduce la frase successiva: “Non è ancora giunta la mia ora”. E l’ “ora” sarà quella della croce, quando la madre, come dicevamo, sarà ai piedi della croce e lì, nel suo sangue, nel suo sacrificio d’amore, Gesù ricostruirà e porterà a pienezza il vincolo di comunione nuziale tra Dio e l’umanità e quindi il vincolo d’amore che unisce tutta l’umanità e che è reso presente a partire dalla ritrovata comunione tra l’uomo e la donna.
Ma la Madre continua la sua opera essenziale rivolgendosi ai servi e facendoli passare dalla condizione di servi a quella di discepoli. Sono infatti discepoli e non servi quelli che fanno quello che Gesù chiede! Fare la volontà di Gesù rende liberi come Gesù stesso dirà in Gv.8,32. E’ meglio quindi rendere la parola della madre con il più letterale “quello che vi dice, fate”, piuttosto che il più debole “Qualsiasi cosa vi dica…”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Il terzo giorno”, secondo altri commenti, è un riferimento a Mosè, il quale ricevette la manifestazione di Dio sul Sinai appunto il terzo giorno: qui dunque, a Cana, si sta rinnovando l’Alleanza, anzi, l’antica Alleanza sta per essere sostituita dalla nuova in Gesù. – Nella relazione d’amore tra Israele e il suo Dio quello che manca è proprio l’amore, rappresentato dal vino (gli sposi bevevano il vino dalla stessa coppa a raffigurare la loro unione nell’amore). – La madre è la “donna”, la sposa fedele; osserva p. Maggi a questo proposito che le altre due “donne” in questo Vangelo sono la samaritana (la donna infedele ma riconquistata) e la Maddalena (simbolo della comunità cristiana). – Il nome Cana sembra sintetizzare tutto il contenuto del brano: la parola suggerisce “il dono”, il dono gratuito su cui si basa la nuova relazione d’amore tra Dio e la sua sposa rinnovata.