19 Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. 20 Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. 21 Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. 22 Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. 23 Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: 24 appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. 25 Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
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Al ver.18 del testo precedente ci veniva annunciata la nostra nascita nella Parola:” Egli ci ha generati con una parola di verità..”. Noi viviamo di questa Parola. E al ver.19 Giacomo esprime subito l’esigenza fondamentale di questa vita nella Parola di Dio:” ..sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira”. Espressa l’esigenza fiondamentale di ascoltare la Parola, ne vengono due conseguenze. La prima è quella di essere “lenti” a parlare. Nella sua accezione più radicale questo può essere accolto come un grande invito al silenzio. Anche il parlare può essere nel discepolo assoluto silenzio, quando il suo parlare è parlare la Parola di Dio. Un esempio che mi è molto caro nella storia della Chiesa occidentale è la persona di Francesco d’Assisi: il suo “parlare la Parola” non è un discorso pieno di citazioni bibliche, ma una specie di “naturalezza”, per la quale la Parola non è “citata”, ma semplicemente è presente in tutte le parole di Francesco. E così è in molti uomini e donne di Dio.
Di grande rilievo mi sembra l’avvertimento ad essere “lento all’ira”, sempre al ver.19. Non che si tratti semplicemente di evitare un atteggiamento sbagliato, poco caritatevole, o altro. Il ver.20 spiega bene la ragione profonda: “l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio”. L’ira di Dio infatti, in tutta la tradizione biblica, è l’espressione della sua giustizia, la sua manifestazione e il suo compimento. L’ira di Dio è distruzione del male e dono del bene, fino al bene supremo per l’uomo che è la sua comunione con Dio. Per questo l’ira divina diventa nel Nuovo Testamento l’ira di Gesù, che non è mai condanna delle persone ma giudizio di condanna nei confronti del male che le tiene prigioniere. Per questo, l’ira dell’uomo “non compie ciò che è giusto davanti a Dio”, perchè si tratta da parte dell’uomo di un’usurpazione di ciò che è solo di Dio. L’ira dell’uomo non è certo capace di distruggere il male, ed è violentemente esposta a distruggere le persone, sia quelle che ne sono la fonte sia quelle che la subiscono.
Per questo, afferma il ver.21, il cuore della salvezza dell’uomo sta nella mansuetudine (in italiano: docilità) dell’accoglienza della Parola, che Dio ci ha donata per la nostra salvezza. Nella condanna dell’ira, viene quindi condannata ogni forma di impurità e di malizia. L’ascolto della Parola è puro atto di fede che esige grande unità interiore e grande apertura nella semplicità del cuore.
Perchè sia veramente ascoltata, la Parola deve essere “fatta”. Forse per evidenziare questo, Giacomo non usa il termine consueto dell’ascolto, quando ai vers.22-23 parla di questi “ascoltatori” che “non mettono in pratica” – ma io preferisco l’espressione inelegante “che non fanno”, e vedremo perchè! – ma usa un termine raro che indica l’udienza giudiziaria. L’ascolto autentico, vero della Parola, passa per una caratteristica importante del termine “ascoltare”, che nel linguaggio biblico significa in modo inscindibile “ascoltare” e “obbedire”. Si pensi all’ “ascolta Israele” che è al cuore della fede dei padri ebrei e nostra, dove l’ascolto fedele della Parola non può non esserne la “celebrazione”. Il Signore non ci regala la Parola senza donarci la possibilità di “farla”, cioè di “celebrarla” (“fate questo in memoria di Me”!). Mi piace quindi dire che propriamente non c’è da una parte l’ascoltare e dall’altra il fare, ma sempre l’ascoltare che non è tale se non è ubbidire, fare, la parola che ci viene donata.
E’ meraviglioso l’esempio che Giacomo ci dà di questo! “Se uno è uditore della Parola e non facitore” (così, alla lettera), assomiglia a chi si guarda per un istante allo specchio e subito se ne allontana, e quindi subito dimentica le sue sembianze. Perchè solo lo “specchio” della Parola ci dice chi siamo e come siamo!! Come siamo nella speranza e nella luce nuova di Dio! Quello che di noi pensiamo di sapere non è quello che veramente siamo: solo la Parola ce lo dice. E questo vale per tutto e per tutti, perchè solo la Parola ci svela la verità divina che è in tutto e in tutti.
Per questo, chi “si sporge in avanti e guarda dentro” (questo è il significato del verbo reso in italiano con “fissa lo sguardo”) “verso la legge perfetta della libertà e vi rimane”, appunto non “come ascoltatore smemorato ma come facitore di opera, sarà beato nel suo fare”. E ritorna ancora una volta la proclamazione della beatitudine, della gioia della vita nella fede di Gesù. Perchè Giacomo chiama la Parola di Dio “legge perfetta della libertà”? é legge perchè questa è la Parola che deve ormai guidare tutta la nostra vita. E’ “perfetta” perchè è la Parola finale, l’ultima, la Parola di Gesù, la Parola che è Gesù. Ed è legge della libertà perchè è la parola che libera da ogni male e apre alla vita nuova della pace di Dio.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.