12 Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. 13 Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. 14 Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; 15 poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte.
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Mi sembra che il significato del ver. 12 sia molto più vasto e ricco di come appare nella versione italiana, soprattutto nei due termini “sopporta” e “tentazione”. Nell’uso comune infatti queste parole contengono una nota tendenzialmente negativa, mentre anche nella loro struttura etimologica esprimono appunto una ben maggiore ampiezza. Qualcosa abbiamo già notato, soprattutto quando abbiamo incontrato ai vers. 2-4 queste stesse parole che ora mi sembra bene riprodurre: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla”. La “prova” della fede, e quindi globalmente della vita, non è un incidente o un episodio, ma, molto di più, è interna al compiersi della fede stessa: la fede si manifesta e si compie attraverso la “prova”. Questa prova non è quindi solo l’aggressione di forze negative e contrarie, ma è, più profondamente, l’incontro – in ogni persona, e gruppo, e famiglia e comunità – tra la fede e la storia. È infatti “nella storia” che la fede si manifesta e si attua. Questo incontro tra la fede e la storia è proprio quindi di ogni esistenza e di ogni persona.
La volontà e la potenza di “stare sotto, e di sostenere” le prove della vita è quella “pazienza, sopportazione, perseveranza nel portare il peso della vita” che ha la sua fonte e il suo culmine nella pasqua di Gesù, nella sua croce e nella sua gloria. La gloria del credente è “la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano”. A proposito di questa corona della vita che è certamente la gloria della risurrezione, bisogna dire, mi sembra, che di essa non abbiamo esperienza come di qualcosa che totalmente manca in questa vita e che è promessa esclusivamente per la vita eterna. Mi sembra si debba dire che c’è una reale esperienza di vittoria della vita sulla morte nell’esperienza terrena, quando si coglie e si accoglie il mistero dell’amore, del perdono, della mitezza, della pace, della povertà in spirito. Questo ci porta ad osservare con molta attenzione quel termine “beato” che apre il nostro ver. 12.
Le prove della vita non possono quindi essere considerate esposizioni al male volute da Dio. Non c’è nessun rapporto d’alleanza e appartenenza tra Dio e il male, dice con forza il ver. 13. Al contrario! La fede è proprio la luce e la forza che consente di vedere come anche la condizione più faticosa e negativa può essere principio e fonte di bene, di liberazione e di pace.
Per questo, i vers. 14-15 mi sembra vadano considerati come l’amaro orizzonte di una vita chiusa su se stessa e dominata dalla “concupiscenza”. Il senso singolarmente negativo di questo termine sta nel fatto che può essere percepito come una certa “potenza”, ma è in realtà una potenza di morte. Se qualcuno avrà tempo e desiderio di riprendere il grande testo di Genesi 3, rimarrà impressionato da come quel capitolo sembra raccogliersi con straordinaria evidenza in questi soli due versetti di Giacomo.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
v. 12 “Beato l’uomo che sopporta la tentazione..” La prima parola di oggi ci collega alle beatitudini del Vangelo, con la forza di speranza attuale e la promessa come esito finale: “riceverà la corona della vita”. “…per coloro che lo amano”: ci si può mettere al servizio del Signore per amore, e quindi anche sopportare le prove per amore. Il verbo al presente suggerisce una perseveranza nell’amore: quelli che “continuano ad amarlo” anche nella prova. Ricordiamo la tentazione della moglie di Giobbe: “Ora smetti di avere fiducia nel Signore!”. Oggi il brano letto ci dice chiaramente che le tentazioni non vengono da Dio, ma dalla nostra concupiscenza, dalle passioni che sono entro di noi. E’ qualcosa di interno a noi, ma che non è propriamente parte di noi, infatti da ciò noi veniamo “attratti (strappati fuori) e sedotti”. Nel v. vediamo che c’è la concupiscenza, poi c’è il peccato, poi c’è la morte: è una catena negativa (come pure notiamo una catena positiva al v. 12: tentazione, perseveranza e corona di vita). Anche nel brano precedente (vv. 9-11) abbiamo ascoltato una serie di vicende “negative” che accadono al ricco. Queste parole di oggi, possono anche voler dire semplicemente come è la vita degli uomini quando sono soli con se stessi. In realtà ci può essere un cambiamento nella vita delle persone, allorchè si evita l’inganno di considerare Dio causa di nostra condizioni o azioni negative.,Infatti la lettera ci esorta a non dire: “Sono tentato da Dio!”, cioè ci esorta a non lasciarci ingannare, per non perdere Colui che solo ci può aiutare spezzando questo ciclo di causa-effetto che ha come suo esito la morte. La perseveranza nella prova può anche avere l’aspetto della “stabilità” come è prevista nella nostra Piccola Regola. Stabilità che è insieme perseveranza, sottomissione e fedeltà. Come il salmo 1 che canta la beatitudine dell’uomo che fedelmente rimane nella legge, nella parola, del Signore.