8 Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; 9 ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? 10 Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! 11 Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.
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L’affermazione del ver.8 è molto delicata, soprattutto se si pensa che Paolo faccia riferimento a forme della devozione e della pratica giudaiche. E io penso così, piuttosto che ritenere che egli citi pratiche pagane. Mi sembra evidente che l’Apostolo continua a tenersi dentro al confronto e al problema stringente di quello che che dell’ebraismo vada tralasciato. E devo dire che anche qui colgo la perennità e l’attualità di tale avvertimento, anche per noi che non proveniamo dal giudaismo, ma che abbiamo in ogni modo sempre bisogno di “ricentrare” la nostra fede e la nostra prassi di osservanze e di attenzioni. L’esperienza della Parola di Dio esige una purificazione incessante del nostro atteggiamento sia interiore che esterno. E con molta acutezza e realismo tali attenzioni e pratiche vengono qualificate come “divinità che in realtà non lo sono”. Certe “osservanze” si vede bene che devono cadere per lasciar posto al Signore del Vangelo e al Vangelo del Signore. In questo senso la Parola di Dio è un severo censore di tutto quello che non è parte del nucleo essenziale della vita di fede, e ristabilisce incessantemente quella “analogia della fede” che è la gerarchia di importanza di tutto quello che si pensa, si dice e si fa. Noi anziani siamo testimoni come nella stessa struttura della celebrazione liturgica la riforma del Concilio Vaticano Secondo abbia operato per la riscoperta dell’essenzialità e lo sfrondamento di pesanti elementi secondari o addirittura inopportuni. E a questo proposito Paolo fa notare che non si tratta solo e tanto di riforme “esterne”, ma di liberazione da atteggiamenti, enfasi e pratiche sconfinanti addirittura in forme di idolatria, appunto verso “divinità” che tali non sono.
E’ molto bella e forte, al ver.9, la qualificazione del nostro rapporto con Dio, quando dice:”..avete conosciuto Dio, anzi da Lui siete stati conosciuti”, liberando il rapporto con Dio da definizioni intellettualistiche, per sottolineare la preminente iniziativa del Signore. Proprio perchè tale “conoscenza”, e cioè relazione profonda e intima, è iniziativa divina, è ancor più grave che ci si rivolga per iniziativa nostra a “deboli e miserabili elementi” che il dono della Parola e dello Spirito dimostra che non vanno serviti. E’ come voler ritornare all’ “Egitto” delle nostre antiche prigionìe. Privilegiare “giorni, mesi, stagioni e anni”(ver.10) è dimenticare e disprezzare l’eterno presente di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo.
L’ipotesi dell’essersi “affaticato invano” per loro è il rimprovero severo che Paolo al ver.11 rivolge ai Galati.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ieri Paolo diceva: “non sei più schiavo ma figlio”. Dai versetti di oggi mi sembra di capire che l’affermazione di ieri “non sei più schiavo ma figlio” vada sempre approfondita. Abbiamo una tendenza a cercare sempre una schiavitù. Ci piace essere servi di qualcuno o qualcosa. Altrimenti non si spiegherebbe questo assurdo “ritornare a quei deboli e miserabili elementi a cui VOGLIAMO di nuovo servire”.
Lo stesso capitava al popolo del Signore fin dalla fuga dall’Egitto.
Forse la soluzione è il fatto che ora, liberi dal peccato, figli di Dio, siamo servi suoi! (Rm 6,18.22)
Gal 5,13 siete stati chiamati a libertà… mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri.
La relazione d’amore, profonda, di lunga data con il Signore, l’essere suoi servi e servi della carità reciproca ci custodisce dalle schiavitù verso altre cose che non sono Dio, che sono cisterne screpolate in confronto alla “sorgente d’acqua viva” che è Lui! (Cfr. Ger 2,13)
Prima ignoravamo Dio: eravamo non-conoscenti, dice il v. 8 (si potrebbe tradurre “non-vedenti”, considerato il verbo “eidon”?). Quindi, non Lo vedevamo…, finché non lo abbiamo conosciuto, e qui ci aiuta il valore ebraico del verbo conoscere: far esperienza e amare insieme. Di qui la forza del messaggio successivo: “siamo stati da Lui conosciuti” (v. 9), cioè intimamente, profondamente amati. Non ha più senso per noi osservare giorni, mesi, tempi, anni…: il credente non può affidarsi all’oroscopo o sottostare ad altre pratiche, ad altri “elementi miseri e impotenti”.