15 Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, 16 sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno”. 17 Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile! 18 Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore. 19 In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. 20 Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. 21 Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.
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Mi dà molta gioia, e ancora una volta grande riconoscenza verso i nostri padri e fratelli ebrei, il fatto che, secondo Paolo, il loro essere “per nascita Ebrei, e non pagani peccatori” diventa una via preziosa per tutti, per vedere che “l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo”. Rinunciando rigorosamente a pensare che a salvarli siano le opere della legge che hanno custodito per il bene di tutta l’umanità, essi ora ancora una volta sostengono la via della salvezza dell’intera umanità, di tutti i popoli pagani, mostrando per primi in se stessi che solo la fede può salvare.
Di questo è ulteriore conferma, ai vers.17-18, l’umile confessione, da parte degli ebrei, del loro “essere trovati peccatori come gli altri” (dunque senza “vantaggi” derivanti dall’avere loro la legge di Dio). Loro, come tutti i credenti in Cristo, non dicono essere il Cristo “ministro del peccato” (cioè fonte, o “colpevole” dei peccati). Siamo noi, sia ebrei sia pagani, i colpevoli dei nostri peccati, perchè riedifichiamo quello che abbiamo demolito, e cioè la nostra vecchia condizione di schiavi del peccato: facendo così, ci denunciamo come “trasgressori”, cioè appunto come riedificatori di una vecchia condizione che la fede di Gesù ha distrutto. Quando pecchiamo, ritorniamo all’uomo vecchio.
Ora abbandoniamoci e immergiamoci con gioia nello splendore dei vers.19-20. Contempliamo la divina bellezza della vita nuova che ci è stata donata. A noi, poveri peccatori!: “..io sono morto alla legge, per vivere in Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Sono parole che conviene imparare a memoria, per poterle rendere presenti in noi e da noi, sempre.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ci troviamo di fronte alla grande professione di fede di Paolo: la nostra giustificazione non è frutto delle opere della legge, ma della fede, cioè dell’accoglimento del dono d’amore e di grazia di Dio. – Dei magnifici versetti finali, mi piace sottolineare due aspetti: 1. Rimane il nostro povero essere di miseria e di peccato (“la vita che vivo nella carne”), ma ormai non guardiamo più alle nostre misere opere, per “vivere della fede del Figlio di Dio”: è Lui che vive in me. – 2. “La fede del Figlio di Dio” (così alla lettera nel v. 20) viene spiegata dalla TOB non solo come fede IN LUI, ma anche nel senso che Egli è l’ORIGINE della nostra fede, o addirittura la fede come atteggiamento che LUI STESSO HA AVUTO: fiducia e abbandono totale nel Padre; una fede che lo ha portato al compimento della sua missione di salvezza.
Il nome di ‘Cristo’ compare otto volte nei versetti che oggi ascoltiamo..
Mi sembra che questo particolare dica molto e un pò spieghi la perplessità di Paolo,ieri, su Pietro, distratto forse in cose meno importanti..
Meno importanti di Gesù Cristo che vive in noi. E noi per Lui..
I primi vv. (15-16) possono essere ancora dentro alla risposta a Pietro: “Noi” (noi due, Paolo e Pietro). Qui Paolo mette in evidenza la peculiarità e la bellezza del cammino specifico di questi “noi” che, a differenza di tutti gli altri, “sanno” (v.16) che gli uomini non sono giustificati dalle opere della legge, e che per questo hanno creduto in Cristo. E’ un cammino che, dalla legge e attraverso la legge, li ha portati a questa sapienza e a questa fede in Gesù. E’ tipico e peculiare del popolo di Dio, perchè invece per i Gentili il cammino è diverso. Come dirà dopo, la legge è stata per loro come un “pedagogo” che li ha condotti a Cristo.,v. 18 “Se io ricostruisco quello che ho demolito,mi denuncio come trasgressore”: se dalla confidenza nella fede come possibilità e via di giustificazione mi rimetto sotto la legge, mi costituisco come un “trasgressore”. Questa è la grande trasgressione e tradimento della grazia di Dio in Gesù, ma anche della stessa funzione della legge. v. 19 “mediante la legge, io sono morto alla legge per vivere per Dio”: la legge si nega per lasciare spazio alla vita in Dio e alla comunione con Gesù Cristo. E’ una strada positiva in cui non si può tornare indietro alla legge: la sua funzione è finita.,Questo poi diventa tipico anche per i pagani, perchè loro che non hanno conosciuto la legge, rischiano di voler finire con la legge.,C’è un legame tra il cammino dalla legge a Cristo, e il cammino che i pagani fanno dalle loro tradizioni a Cristo. E c’è un rischio per tutti: quello di tornare indietro, che è qui segnalato a proposito dei giudei, ma che è di tutti quelli che entrano nella fede in Gesù Cristo, di non rimanere stabili in questa assolutezza della fede in Gesù Cristo. Ora, “questa vita che vivo nella carne” ci dice Paolo, esprimendoci la realtà della vita cristiana per ogni fedele di Gesù, “la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”. Non più dunque faticoso impegno di autogiustificazione per mezzo di opere secondo la legge, con il rischio di solitudine e aiutocompiacimento, o più facilmente di paura e scoraggiamento, nell’attesa di una eventuale ricompensa futura; ma una vita nuova, che è insieme “nella carne” debole e “in Gesù”, già da ora e qui, nella pacificata fiducia della comunione con Dio che ci è data da Lui e in Lui, “che mi ha amato ed ha dato se stesso per me”. Se non è così, Gesù è morto invano.