1 Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa. 2 Se ella, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie di un altro marito 3 e anche questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio, glielo consegna in mano e la manda via dalla casa o se quest’altro marito, che l’aveva presa per moglie, muore, 4 il primo marito, che l’aveva rinviata, non potrà riprenderla per moglie, dopo che lei è stata contaminata, perché sarebbe abominio agli occhi del Signore. Tu non renderai colpevole di peccato la terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti in eredità. 5 Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà in guerra e non gli sarà imposto alcun incarico. Sarà libero per un anno di badare alla sua casa e farà lieta la moglie che ha sposato.
6 Nessuno prenderà in pegno né le due pietre della macina domestica né la pietra superiore della macina, perché sarebbe come prendere in pegno la vita. 7 Quando si troverà un uomo che abbia rapito qualcuno dei suoi fratelli tra gli Israeliti, l’abbia sfruttato come schiavo o l’abbia venduto, quel ladro sarà messo a morte. Così estirperai il male in mezzo a te. 8 In caso di lebbra, bada bene di osservare diligentemente e fare quanto i sacerdoti leviti vi insegneranno. Avrete cura di fare come io ho loro ordinato. 9 Ricòrdati di quello che il Signore, tuo Dio, fece a Maria durante il viaggio, quando uscivate dall’Egitto.
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Pur essendo in linea con tutte le culture del mondo e quindi concependo una condizione di minorità per la donna, il nostro testo sembra voler porre un limite alla sua soggezione affermando un limite all’arbitrio maschile con l’impedire che egli possa riprendere la persona che aveva ripudiata. E’ come se lasciasse intravedere nello sfondo la prospettiva di un legame definitivo e perpetuo. A me sembra che ieri come oggi non si possa cogliere la profondità di questo tema senza rapportarlo al volto che la nuzialità assumerà con Gesù di Nazaret. Nuzialità che deve essere colta primariamente nella “nuova ed eterna alleanza” che il Figlio di Dio stabilisce con il suo sacrificio d’amore e che porta come suo frutto l’indissolubilità del matrimonio. Penso che voler fondare tale indissolubilità su una presunta “legge di natura” sia una grave errore e un pericolo per il matrimonio stesso, che ha tutta la sua forza proprio nell’essere “celebrazione”, “sacramento” dell’Amore, e quindi non semplicemente “vincolo”, ma appunto “vincolo d’amore”. Non dimentichiamo che la sapienza ebraico-cristiana si spinge fino all’ “innaturalità” della prescrizione biblica per la quale l’uomo deve essere lui a lasciare la casa paterna per unirsi alla sua donna!(Genesi 2,24). E questa profezia apre la strada all’adempimento straordinario che in Gesù chiede che l’uomo ami la donna ponendo per la sua vita. In graziosa coerenza con questo, il ver.5 esenta lo sposo “fresco” dalla guerra e da ogni incarico con essa connesso. Per un anno egli deve badare alla sua casa e a far lieta la moglie. In questa direzione anche il ver.6 è dedicato alla salvaguardia della vita domestica con l’impedimento a privare la casa di un’oggetto essenziale per la mensa famigliare. Purtroppo, dopo due millenni di cristianesimo, il ver.7 ci ricorda amaramente che anche oggi, anche in un paese tradizionalmente cristiano come il nostro, può darsi che qualcuno faccia il peccato mortale – “quel ladro sarà messo a morte”! – di ridurre in schiavitù un suo fratello, cioè un figlio del suo stesso Padre. E’ singolare e interessante che anche il tema della lebbra non sembri qui considerato per le prescrizioni lunghe e complesse in vista del superamento della malattia, ma come attenzione preventiva! Infatti è proprio per aver accusato suo fratello che Maria, sorella di Mosè, viene aggredita dalla lebbra!(Numeri 12,10). Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il v. finale comanda di “ricordare”: questo verbo, importante per tutto il nostro libro, ritorna in questo cap. per ben tre volte. é importante ascoltare e custodire le parole del Signore, e per ubbidire ad esse è importante ricordare quello che Lui ha compiuto per il popolo, in particolare la liberazione dall’Egitto. Questo v. 9 ci dice cosa oggi si debba ricordare: ciò che Dio ha fatto a Miriam durante la loro via nel deserto: quel testo è molto particolare, rispetto a tutta la legislazione sul lebbroso che leggiamo in Lev. che prescrive per lui una situazione di grande solitudine (sebbene sia prevista anche la possibilità di guarigione, che pure oggi è sottintesa, nella prescrizione di attenersi alle indicazioni dei sacerdoti). Nella vicenda di Miriam, infatti si vede un grande coinvolgimento, dei suoi fratelli prima, nella intercessione per lei, e di tutto il popolo, nella sua attesa che passino i sette giorni che Dio ha disposto per la sua “cura”. Il brano di oggi sembrerebbe presentare una situazione del lebbroso più avanzata, più definita sociologicamente, più in linea con le prescrizioni del Lev. E allora la memoria di Miriam vi porta una correzione: il Signore ponendo qui il comando di ricordare ciò che accadde a lei, vuole prospettare una situazione nuova a chi è colpito dalla lebbra, ponendolo come in una situazione di attesa, verso la reintegrazione/guarigione, chiedendo al popolo di porsi nella stessa situazione di solidarietà in cui si venne a trovare in occasione della “malattia” di Miriam: in cammino, e tutti compartecipi della sua situazione. In questo senso si possono unire questi vv. finali ai primi che dicono come “il primo marito non può riprendere la sua ex-moglie una volta che fosse di nuovo ripudiata o restasse vedova”. Anche qui c’è l’attesa di una situazione diversa, di una reintegrazione di questa donna in una situazione nuova, di un rapporto totalmente rinnovato con lo sposo. Questa prima immagine, insieme con l’ultima, è aperta verso una attesa: rinnovano il pensiero che si è ancora in un cammino che deva avere una sua completezza. Il divorzio ha come sua causa il fatto che il marito trova nella sposa che ha preso nella sua casa una parola/cosa non buona. Questo preannuncia il bisogno di un marito che non veda questa situazione non buona, oppure che la sappia sanare. Il divorzio è permesso da Mosè “per la durezza del vostro cuore” dirà Gesù. Ma Dio non lo permette, e soprattutto non lo attua mai nei confronti del suo popolo. E’ questo l’annuncio del libro di Osea, e della fedeltà di Dio davanti alla infedeltà di Israele sua sposa, e del libro di Ezechiele (c. 16). In Osea la sposa dice: “Ritornerò al mio marito di prima!”: è sottintesa la speranza nella misericordia del Signore sposo, di essere ripresa, contro la stessa prescrizione data qui al v. 4. E se quache volta può essere avvenuto che per un momento Dio ha pensato di scrivere per il suo popolo un libello di ripudio (cfr Ger 31:1.8), questo v. 4 prepara l’attesa e l’annuncio della misericordia di Dio che spinge al pentimento il suo popolo e che lo accoglie nel suo ritornare (Ger 31:14.22.25).Ma ancor più è insistente nella Scrittura l’annuncio che “Dio non ripudia il suo popolo” (1 Sam 12:22; Sal 93:14, etc), come anche pochi giorni fa sentivamo proclamare con forza da Paolo (Rom 11: 1.2). Semmai, al contrario, è proprio il suo popolo a ripudiare, e rinnegare il Messia sposo venuto nella persona di Gesù (Atti 3:13.14). Ma “seppure noi siamo infedeli, egli però rimane fedele, perchè non può rinnegare se stesso” e il suo amore eterno per Israele suo popolo.