Riportiamo i due articoli apparsi su Repubblica Bologna

Quelle "squadre" sono la negazione del Vangelo – di don Giovanni Nicolini

Sento in coscienza il dovere di prendere posizione davanti alla prospettiva emersa in queste ore, a che nelle nostre città si organizzino «ronde» disarmate e collegate con le forze dell´ordine per sorvegliare luoghi esposti a possibili azioni illecite e pericolose. In tal modo si potrebbero individuare persone dal comportamento sospetto e segnalarle. Ero bambino quando mio padre mi diceva di certe «squadre» che ai suoi tempi garantivano l´«ordine» e mi ricordo con quale angoscia ascoltavo il racconto di un suo incontro scontro dovuto al suo rifiuto di un provvedimento del Duce, comunicatogli dal Vescovo della sua città, di sciogliere l´associazione di Azione Cattolica della quale era Presidente.

Mai avrei pensato di ritrovare dentro di me quelle stesse ombre della mia infanzia. Dove sta andando il nostro grande popolo? Certo sono allarmato per tanti miei amici italiani e stranieri che potrebbero facilmente entrare in quella categoria dei «sospetti», solo perchè meno «attrezzati» nell´abbigliamento, più segnati nel volto dalle fatiche della loro povera vita, poco abituati a sorridere per il peso dei pensieri e dei ricordi. Ma sono molto più allarmato per tutti quelli che forse in buona fede s´impegneranno nelle «ronde» e penseranno in questo modo di servire la nostra società. E infine sono addolorato per coloro che propongono simili iniziative: come è possibile che non siano consapevoli del degrado culturale e spirituale che provvedimenti simili causano nelle coscienze e nel pensiero?

Se sono padri e madri, come possono non vedere il male che portano alla crescita dei loro figli? Se hanno in loro stessi qualche traccia della nostra grande sapienza cristiana, non colgono la negazione che gesti simili affermano nei confronti del Vangelo del Signore?

Per questo, non volendo polemizzare con nessuno, invito a casa mia per il prossimo martedì, alle 21, tutti coloro che desiderassero pensare non tanto a osteggiare questa impresa, quanto a dare un segno contrario e positivo. 

Per esempio, si potrebbe pensare a gruppi di solidarietà e di aiuto che nelle stesse ore e negli stessi luoghi cercassero e soccorressero chi fosse privo di ogni conforto e protezione. A Bologna iniziative di questo tipo ci sono sempre state e tuttora sono presenti accanto al dolore e alla fatica di molti. Potremmo dare anche a questi amici e fratelli un segno concreto della nostra gratitudine per il loro prezioso e silenzioso lavoro.

Fonte: Repubblica Bologna 22 febbraio 2009

Don Nicolini: "Le mie ronde sono quelle che aiutano"

Il sacerdote chiama i fedeli a discutere del problema nella sua parrocchia della Dozza, mandando un messaggio: " Ci si potrebbe rallegrare se da questa città partisse il messaggio opposto: noi le ronde qui non le facciamo". Senza voler fare politiche, aggiunge: "La mia è una iniziativa di confronto che ha valore politico in quanto ha valore pubblico, vuole scuotere le coscienze. A cosa serve continuare a litigare senza avere pensieri?" 

«Ci si potrebbe rallegrare se da questa città partisse il messaggio opposto: noi le ronde qui non le facciamo». Lo dice nel suo stile, don Nicolini, senza chiamare in causa interlocutori precisi, senza polemiche. Ma sommessamente il sacerdote spera in una reazione della città, e anche politica, contro le ronde. La stessa reazione che ha avuto lui stesso scrivendo la lettera aperta da discutere nella serata a casa sua, la parrocchia della Dozza. Alla libreria Coop Ambasciatori, don Nicolini ha presentato, con Flavia Franzoni Prodi e Beatrice Draghetti, il suo libro «Un pane al giorno», la raccolta dei messaggi quotidiani inviati via mail dopo la preghiera e la meditazione, nella sua comunità, del Vangelo di Marco. «Piccole note, il cammino di una comunità condiviso con centinaia di persone».

Anche nella sua presa di posizione contro le ronde il sacerdote pensa a una comunità, solidale. «Siamo una città accogliente, non sospettosa », ricorda. Don Nicolini, come è nata la sua lettera-appello?
«Già mi aveva fatto stare molto male il provvedimento che impone ai medici di denunciare pazienti immigrati senza documenti. Poi le ronde. Sono cose che fanno orrore, che toccano in modo grave la cultura del nostro paese, che offendono lo spirito del Vangelo. Così ho deciso di scrivere».

Con le ronde si rischia la «privatizzazione » della polizia, concorda?
«Certo che è così. Dobbiamo fidarci delle istituzioni, non il contrario. Un mio fratello monaco che vive a Gerusalemme mi ha recentemente raccontato l’imbarazzo di subire il controllo dei documenti a Gaza, a un posto di blocco degli uomini di Hamas, da persone in borghese. L’uniforme ha un significato istituzionale di tutela della legalità, dobbiamo aiutare le forze dell’ordine, non creare forze alternative ».

Chi ci sarà questa sera a casa sua a discutere di alternative con il sorriso alle ronde?

«Non lo so, è anche l’ultimo giorno di Carnevale. Non so nemmeno quali proposte usciranno, spero che le persone portino idee. A me va bene intanto scambiare due parole. La mia lettera voleva essere soprattutto un segno di consolazione, di aiuto ai tanti volontari che di notte girano in città a tutela dei più deboli. Bologna ha già le sue ronde, ma sono quelle positive, che aiutano».

Eppure le ronde introdotte dal governo fanno presa, danno «sicurezza»: come si esce da questo modo di pensare, rischioso, perché, come lei scrive, ricorda altri tempi?
«Il problema è che si parla a una coscienza collettiva fragile, incapace di cogliere lo sgarbo culturale. Penso ai nostri anziani che abitano da soli, impauriti anche più del necessario dalle notizie di stampa. La gente chiede sicurezza, ma in questi tempi io mi sento molto insicuro ad usare questa parola. La sicurezza si garantisce se c’è rassicurazione, se mi occupo di chi è più esposto, per fragilità, a delinquere. Mi rivolgo anche a chi ha proposto le ronde: ma veramente, se hanno dei figli, pensano di volerli crescere così?».

Il suo è un appello dal valore politico?
«A me non interessa questo, la mia è una iniziativa di confronto che ha valore politico in quanto è una proposta che ha valore pubblico, che vuole scuotere le coscienze. O abbiamo pensieri positivi o cosa serve continuare a litigare senza avere pensieri?».