Caro don Giovanni, pur con grande pace, mi chiedo se non sia giusto che chi ha provocato tanto male a un’intera nazione adesso paghi il male che ha commesso che ha permesso e che ha anche promosso. Lei capisce a che cosa mi riferisco. Dove è finita la giustizia?

Caro amico, in questi giorni sto pregando su una Parola della Bibbia particolarmente vicina alla sua domanda e alla sua protesta. Le rispondo quindi con un criterio generale che il Signore del Vangelo ci indica, un criterio che comprende ma che va oltre il caso da lei citato, ed è atteggiamento globale dell’agire cristiano.

Dice dunque Paolo nella Lettera ai Romani: “Non rendete a nessuno male per male. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo”. La giustizia umana è sempre, inevitabilmente, vendicativa, e più male si fa più si deve scontare. Almeno in teoria. E ancor più in teoria questa legge “è uguale per tutti”. Penso ad esempio a chi è recluso nel carcere qui vicino e a chi è, come me, tranquillamente fuori. La Parola evangelica ritiene che la giustizia più  severa sia quella che al male risponde con il bene. Questa è talmente opposta al male commesso che accumula “carboni ardenti sul capo” del colpevole. Niente infatti è più efficace per far riflettere e per evidenziare quanto chi ha commesso il male si sia allontanato dal bene. Se il colpevole deve “cambiar pelle”, non sarà la punizione della pena a farlo riflettere per cambiare, quanto la vertiginosa contestazione del bene, così nemico del suo male. Nella pratica della giustizia umana, questo è di difficile applicazione. Ho saputo di una signora che dirigeva un carcere cercando di applicare questi criteri, e che è stata costretta a cambiare mestiere, malgrado ottenesse risultati sorprendenti. Spero che la mia risposta non la deluda troppo, né la scandalizzi.

Con amicizia.  d.Giovanni. 3 dicembre 2011

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Scrivo da Gerusalemme. Al quarto giorno del pellegrinaggio in Terra Santa. Viviamo una giornata condotta e custodita dalle Donne del Vangelo: dalla Visitazione al Magnificat, da Betlemme alla Madre di Dio. La gente non è troppa e tutto si compie in un dono di quieta letizia. Mentre rapidamente imbrunisce, lasciamo lontano il nostro pulmann e ci avviciniamo al grande dramma del muro che separa Betlemme da Gerusalemme e che insidia il cammino dei Magi, ostacolati dalla violenza politica di Erode. Sotto lo sguardo stupito e sospettoso delle guardie del Chek-Point camminiamo per un centinaio di metri lungo il muro, tutto istoriato dalle grida del dolore e della protesta. Ma sappiamo dove portare i nostri compagni di cammino. Ad un’ansa della barriera, come all’improvviso, come un’apparizione, sulla violenza rozza del muro, una delicata ikona della Madre e del Bambino. Nello sfondo del dipinto sono rimaste le tracce di altre proteste. Qui, ora la “protesta” sublime: l’ikona della “Vergine che abbatte i muri”. Non perché distrugge ma perché edifica un ponte. Perché Lei stessa è ponte tra Dio e questa povera umanità lacerata. Ponte di misericordia che interpreta quello che sta in fondo ad ogni cuore e che non riesce a diventare cieli nuovi e terra nuova. Il cemento del muro presta la sua ruvida carne al Verbo di Dio. Alla base dell’immagine della Donna e del suo Bambino l’ikonografo anonimo e probabilmente notturno ha dipinto una porta: una porta aperta. La chiave è appesa ad un chiodo e dalla porta aperta si vede il profilo di Gerusalemme sotto un cielo turchino. Preghiamo insieme: “L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria. Ed Ella concepì di Spirito Santo”. Si ritorna commossi verso il mezzo che ci riporta a casa. Le chiediamo di vegliare su questa notte troppo lunga.

Buona Domenica a tutti.  d.Giovanni. 9 dicembre 2011

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Una Domenica dedicata al mistero della povertà. E’ l’ultima Domenica di Avvento. Povertà di un paesino, Nazaret, dal quale “potrà mai venire qualcosa di buono?” dirà uno dei migliori amici di Gesù. Povertà di una ragazzina, visitata da un personaggio troppo importante, con parole troppo importanti. E la ragazzina dovrà fare un gran atto di fede per accogliere il progetto che le viene annunciato. Ma soprattutto è Domenica della gran povertà di Dio. Non vuole la casa di cedro o di pietra che il re vuole costruirgli. Ha nostalgia della tenda dove si riparava quando era vagabondo nel deserto insieme al suo popolo. Preferisce essere Lui a costruire, a suo tempo, una casa per la sua famiglia. Veramente, non una casa, ma un misterioso personaggio, che gli assomiglierà molto in questo gusto della povertà. Lo si vedrà fin dalla nascita, al riparo in una stalla e in una mangiatoia come culla. Uno che lavorerà da falegname nella bottega di suo padre e per tre anni si farà vagabondo anche Lui, più povero di un uccello che ha il suo nido, o delle volpi che hanno le loro tane: Lui, neanche una pietra dove appoggiare il capo. E poi, sempre a tirarsi dietro delle file di poveretti: capace di dargli da mangiare anche quando sono troppi per i cinque pani che si riesce a mettere insieme. E anche cattive compagnie: gentaglia come i pubblicani nello stile di tangentopoli, ragazze troppo disinvolte e amici intimi non certo di buona lana: sempre pronti a tirar fuori il coltello dello zelota. E persino qualcuno che ruba dalla cassa comune e si farà traditore per la miseria di uno stipendio mensile da terzo mondo. Certo che in questo modo riesce ad arrivare a tutti e dappertutto. Però deve esserci qualcosa di più complicato, perché altrimenti avrebbe potuto approfittare del successo mediatico le volte che volevano farlo re e addirittura gli facevano festa come se già lo fosse. Invece andrà fino in fondo per questa strada, fino a morire in mezzo a disgraziati con una morte da mascalzone. Ma intanto lasciamolo nascere, e accettiamo per ora di non capire come mai, quando morirà, l’ufficiale del drappello che ha eseguito la sentenza, vedendolo morire penserà di riconoscere in Lui il Figlio di Dio. Buon Natale a tuti, con moltissimo affetto.

Giovanni della Dozza. 17 dicembre 2011

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Caro Giovanni. Sono un padre fortunato e uno sposo felice, grazie a Dio! Ti scrivo pensando ai miei figli e a quel loro modo ormai comune in pre adolescenza di mettere in discussione tutto e tutti! Hanno cominciato, soprattutto il grande ma a ruota anche gli altri a non volere più partecipare alla S. Messa!  Arrivo dunque al punto: non ti sembra che le nostre Liturgie così come sono celebrate spesso non riescano nè a coinvolgere, nè ad essere comprese, nè addirittura ad essere credibili? Aiutami per favore a capire! Ciao. Un tuo lettore.

Caro amico, mi faccio aiutare dalla festa che oggi celebriamo  e da quello che in casa tua forse hai preparato o hai fatto preparare: il presepio. Quando S.Francesco d’Assisi lo ha “inventato”, che cosa voleva? Voleva far capire che l’antica vicenda narrata dal Vangelo è in realtà vicenda nuova, e forse sempre “troppo nuova” per i nostri modi sempre “vecchi” di vivere e interpretare la storia. Francesco voleva mostrare che la misericordia di Dio regalava anche al suo tempo, come oggi al nostro, la venuta del suo Figlio Gesù, Parola nuova e potente per rinnovare le menti, il cuore e la storia dell’umanità. A Greccio si fece preparare solamente un po’ di fieno, e un asino e un bue. Lui, da Diacono, cantò poi su quella umilissima “scena” il Vangelo del Natale. Tutto fu così forte e così vero che qualcuno ebbe l’impressione di vedere adagiato su quel fieno un piccolo Bambino. Il vero problema è dunque non solo e forse non tanto che le nostre celebrazioni siano noiose e fredde, quanto quello dello “scollamento”, del distacco tra la liturgia e la storia piccola e grande che ciascuno vive. Un rito lontano, più che l’invasione, la provocazione e il giudizio che la Liturgia compie su di noi, e sulla storia nella quale siamo immersi, per redimerla e salvarla. La Liturgia non è un rito fuori dalla storia, ma è l’intervento e la presenza potente di Dio dentro la nostra storia. La sua potenza è quella di portare la vicenda umana di ogni tempo, personale e collettiva, “dentro” il mistero della salvezza. Bisogna riscoprire il ponte tra la nostra storia e quella Liturgia che la cerca per salvarla e la giudica per rinnovarla nella luce del Vangelo di Gesù. Sono due povere paroline per un problema e un tema immenso. Intanto: a tutti l’augurio di un Natale pieno di bellezza, di bontà e di pace.

d.Giovanni. 23 dicembre 2011

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Caro don, ho letto con attenzione un suo commento alla domanda retorica e ironica di Natanaele: “ Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”, e sono stato tentato di porre la stessa domanda a tutto quello che succede. Perdoni il mio pessimismo! Sono spesso tentato di chiudermi nella conclusione pessimistica “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Anche questa è Bibbia! E guardandomi intorno e dentro me stesso, a questo sono tentato. In ogni modo, buon anno a lei che continua a distribuire speranza.

Caro amico, scelgo volentieri tra altri il suo messaggio, che mi offre l’occasione, come lei dice, di provare nel mio piccolo a “distribuire speranza”! In questi giorni la liturgia della Chiesa ci ha fatto camminare nella meravigliosa Parola della Prima Lettera di Giovanni. Continuamente mi sono quindi incontrato con un annuncio di speranza presente ormai “dentro” ogni realtà: dalla più piccola delle creature all’avvenimento anche il più tragico della storia. Provo a proporle una piccola attenzione che ho trovato sempre più importante nel mio rapporto con la Parola di Dio e con la storia piccola e grande dell’umanità e di ogni persona. Ed è la realtà del “mistero”. Istintivamente, e per una certa tradizione del nostro pensiero, siamo portati a considerare il “mistero” come qualcosa che sta “sopra” le persone e le cose. Il mistero, invece, sta “dentro” le persone e le cose. E la Parola di Dio, cioè Gesù, ci rivela questo mistero con la sua Parola e con la sua opera di salvezza. Per farle un esempio, ascolto questa mattina la Parola, apparentemente un po’ strana che Giovanni rivolge ai suoi fratelli, dicendo:” Scrivo a voi, figlioli,…scrivo a voi padri..scrivo a voi giovani…” e spiega il motivo del suo scrivere come l’opportunità di comunicare quello che il Signore ha operato nella vita di ciascuno e di tutti. Senza quella Parola e senza la “Scittura” la luminosa realtà della vita rimarrebbe nascosta. Il Vangelo è “rivelazione”, cioè toglimento di un velo, affinchè ciascuno possa vedere quanto in Gesù la vita sia diventata meravigliosa. Senza il Vangelo non lo sapremmo e non potremmo vivere in modo corrispondente alla luce che Gesù ha messo in tutti e in tutto. Provi ad ascoltare ogni giorno, anche per pochi minuti, qualche Parola del Vangelo. Vedrà: tutto si illumina. Anche la nostra povera vita. Ed è una “scommessa” proposta a tutti.

Buon Anno, caro amico. Giovanni. 31 dicembre 2011