6,1 Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, trattino con ogni rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. 2 Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché sono credenti e amati coloro che ricevono i loro servizi. Questo devi insegnare e raccomandare.
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Anche oggi, come in altri casi della 1 Tm, Paolo tratta argomenti in riferimento a categorie di persone: i vescovi (cf. 3,1-7), i diaconi (cf. 3,8-13), le vedove (cf. 5,3-16), i presbiteri (cf. 5,17-22). Nel testo odierno si tratta dei servi, ed in particolare di servi cristiani, cioè di persone che, essendo in condizione di schiavitù, hanno accettato il Vangelo e sono stati battezzati. Per questa ragione Paolo, ed il suo rappresentante a Efeso, Timoteo, si occupano anche di loro. Come debbono comportarsi i cristiani quando per condizione sociale sono al grado più basso dell’antica società greco-romana? Su questo punto possiamo utilmente rileggere la posizione di Paolo in 1 Cor 7,20-24: «Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato». Dunque, come si vede, secondo Paolo diventare cristiani significa per tutti, schiavi e liberi, cambiare appartenenza ed entrare in relazione di dipendenza, appunto di schiavitù, nei confronti di Cristo. Paolo stesso ama presentarsi come schiavo di Cristo. Vedi per es. come inizia la Lettera ai Romani: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio».
Sembra di capire che il v. 1 riguardi il caso di un padrone qualunque, cioè non cristiano, mentre che il v. 2 analizzi il caso di un padrone cristiano. A questa possibile interpretazione del v. 1 spinge l’espressione di Paolo che suona in termini generici e sfumati: «Quanti sono schiavi sotto un (qualunque) giogo» (traduzione letterale), mentre è evidente che i padroni del v. 2 sono cristiani, perché vengono chiamati fratelli, credenti e amati. Inoltre il pericolo paventato nel caso di un comportamento non esemplare da parte di uno schiavo cristiano risulta più frequente, nella Bibbia, da parte di pagani, cioè non credenti, non ebrei, i quali si trovano a bestemmiare il nome del Dio di Israele quando vedono Israele che sbaglia (cf. per es. Is 52,5).
Nei confronti di un padrone non cristiano lo schiavo cristiano è invitato da Paolo a trattarlo con ogni rispetto: l’espressione è identica in 1 Tm 5,17 («I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore»), dove la stessa parola è tradotta col termine «onore».
Nei confronti di un padrone cristiano, di conseguenza, aumentano i motivi di dipendenza da parte di uno schiavo cristiano: lo servano ancor meglio o di più, non tanto perché è un padrone ma appunto perché è un fratello. Si può ricordare in proposito il comandamento nuovo lasciato da Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima cena secondo il Vangelo di Giovanni: «Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» (Gv 13,12-17).