22 Tutta la comunità degli Israeliti levò l’accampamento da Kades e arrivò al monte Or. 23 Il Signore disse a Mosè e ad Aronne al monte Or, sui confini del territorio di Edom: 24 «Aronne sta per essere riunito ai suoi padri e non entrerà nella terra che ho dato agli Israeliti, perché siete stati ribelli al mio ordine alle acque di Merìba. 25 Prendi Aronne e suo figlio Eleàzaro e falli salire sul monte Or. 26 Spoglia Aronne delle sue vesti e rivestine suo figlio Eleàzaro. Là Aronne sarà riunito ai suoi padri e morirà». 27 Mosè fece come il Signore aveva ordinato ed essi salirono sul monte Or, sotto gli occhi di tutta la comunità. 28 Mosè spogliò Aronne delle sue vesti e ne rivestì Eleàzaro suo figlio. Là Aronne morì, sulla cima del monte. Poi Mosè ed Eleàzaro scesero dal monte. 29 Tutta la comunità vide che Aronne era spirato e tutta la casa d’Israele lo pianse per trenta giorni.
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La tradizione ebraica dice che quando il Signore ha ordinato a Mosè “Prendi Aronne e suo figlio Eleazaro…”(ver.25) gli ha chiesto di prenderlo con parole di consolazione, con le quali si sottolineava la grazia, che lo stesso Mosè non avrebbe avuto, di poter passare i propri abiti sacerdotali a suo figlio.
Credo sia bene per noi tener conto delle parole che descrivono la morte di Aronne, non solo come uno stile letterario per dire che una persona è morta, ma proprio come la descrizione di una vera “liturgia” con la quale una persona muore. E’ occasione oggi di pregare perchè la comunità ecclesiale, così preoccupata di salvaguardare la vita anche nelle sue ultimissime espressioni, non perda il dato centrale della “buona morte”, già così circondata di cura e di dignitosa bellezza nella Prima Alleanza, e dunque così preziosa per noi discepoli di Gesù e fratelli suoi, chiamati a celebrare il Cristo sia nella vita sia nella morte. Altrimenti si corre il pericolo di “disumanizzare” la morte, e di non saper più coglierla come Pasqua e come Porta della Vita.
Ancora la tradizione ebraica descrive la morte di Aronne come una liturgia molto accurata: una grotta, un letto nella grotta, Mosè che vi fa salire suo fratello, le braccia stese e gli occhi chiusi di Aronne, e quindi la sua morte. La versione greca, al ver.29, non dice che “era spirato”, che era morto, ma che “se n’era andato”.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Davanti alle lamentele del popolo (come già altre volte abbiamo visto) questa volta rivolte oltre che contro Mosè anche direttamente contro Dio, Dio risponde mandando come castigo i serpenti “infuocati” che distruggono il popolo. E quando stanno per morire tutti, allora si accorgono di avere peccato e ricorrono a Mosè perchè interceda per loro presso Dio. Davanti a Dio gli israeliti sono deboli e peccatori, e davanti al loro peccato li aspetta il castigo e il perdono: Dio può far perire e può salvare. Dio mostra a loro la sua potenza di castigo e di misericordia (“Chi guarderà il serpente di rame sarà salvato”) Nella versione Gr. al v. 4 leggiamo: “E il popolo divenne pusillanime nella VIA”. La via è quella che conduce alla Terra Promessa, il Regno di Dio che oggi Gesù nel Vangelo ci dice essere di quelli che sono come bambini, affidati completamente alla premura del Padre e fiduciosi in Lui.Chi non accoglie così il Regno, chi non rimane nella VIA, chi – confidando forse in sé stesso – diventa pusillanime, rischia di non entrare nella Terra della promessa. Chi resta fiducioso in Gesù, che dice di sè “Io sono la via…” (Gv 14:6) entra abbracciato da Lui come un bambino nel Regno dei cieli. Infatti Gesù, riprendendo questo avvenimento della storia del popolo nel deserto dirà: “E come mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’ uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3:14-15). Al v. 2 il popolo “fa voto” a Dio, cioè lo prega di dargli la vittoria. Dio li ascolta ed esaudisce subito (v.3) e il popolo sconfigge i Cananei. E subito dopo però si lamentano molto violentemente e disprezzano il cibo del cielo “Siamo nauseati di questo cibo così leggero” (v.5). Usano una parola (“disgustati”) che altrove indica l’atteggiamento suggerito da Dio al suo popolo nei confronti degli dei stranieri (o verso il male in generale), per confidare solo in Lui: qui sembra dunque insinuare una profonda mancanza di fede, gratitudine e rispetto per il Dio di Israele. Inoltre la parola “leggero” contiene (in gr.) l’idea di vuotezza, vanità, inutilità. S. Paolo usa termini vicini a questo per dire di non “rendere vana” la grazia ricevuta. Il disprezzo del dono è rendere vano, inutile, ciò che la grazia di Dio dona. Peraltro, “Gesù spogliò se stesso (stessa parola)” mostrando quale è il modo privilegiato per agire nella storia. Nel brano di oggi Dio mostra in tre modi diversi di essere sempre vicino al popolo e di ascoltarlo e di rispondergli. Al v. 3 Dio “ascolta ed esaudisce” la loro preghiera e il loro voto e concede loro la vittoria. Al v. 6 Dio – avendo ascoltato la mormorazione del popolo – “manda” i serpenti velenosi. Al v. 8 Dio “parla” a Mosè e gli comanda di fare un serpente di rame per rinnovare la fede del popolo in Lui. E questa ultima risposta, il suo “parlare”, dona la salvezza al popolo, secondo quella che è anche la interpretazione che il libro della Sapienza dà di questa vicenda: “Infatti chi si volgeva a guardarlo (il serpente di rame) era salvato non da quel che vedeva, ma solo da te, salvatore di tutti. … Non li guarì né un’ erba né un emolliente, ma la tua parola, o Signore, la quale tutto risana.” (Sap 16:7.12). ,Gesù, “Parola di Dio”, infatti rivelerà il vero significato di quanto la vicenda del deserto prefigurava: “E come mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’ uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Giov 3:14-15).