21 Da molto tempo non si mangiava; Paolo allora, alzatosi in mezzo a loro, disse: «Uomini, avreste dovuto dar retta a me e non salpare da Creta; avremmo evitato questo pericolo e questo danno. 22 Ma ora vi invito a farvi coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite umane in mezzo a voi, ma solo della nave. 23 Mi si è presentato infatti questa notte un angelo di quel Dio al quale io appartengo e che servo, 24 e mi ha detto: “Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare, ed ecco, Dio ha voluto conservarti tutti i tuoi compagni di navigazione”. 25 Perciò, uomini, non perdetevi di coraggio; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato detto. 26 Dovremo però andare a finire su qualche isola».
27 Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. 28 Calato lo scandaglio, misurarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, misurarono quindici braccia. 29 Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. 30 Ma, poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prua, 31 Paolo disse al centurione e ai soldati: «Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo». 32 Allora i soldati tagliarono le gómene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare.
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La Parola che oggi riceviamo dalla bontà di Dio come pane necessario e quotidiano ci pone davanti ad una domanda già nelle prime parole:”Da molto tempo non si mangiava”(ver.21). Ci domandiamo innanzi tutto che posto abbia questa osservazione nell’economia generale del testo. E forse possiamo trovare l’avvio di una risposta spingendo il nostro ascolto oltre il ver.32 che oggi è l’ultimo del nostro brano. Ma in ogni modo possiamo fin d’ora osservare che quel “non mangiare” non è dovuto alla mancanza di cibo. Paolo, più avanti, al ver.35, lo troverà. Il “non mangiare” non è dovuto a mancanza di cibo, ma a “inappetenza”. questo è il significato primo di questa parola. Non mangiano perchè sono immersi nell’angoscia della situazione. Allora possiamo considerare il nostro testo come l’avvio verso un pasto che Paolo riuscirà a mettere insieme. Un pasto necessario, di cui ci si priva per la fatica della vita. Ma è necessario per la vita stessa. Per vivere.
Mi pare di dover poi osservare che Paolo, discutendo il comportamento tenuto dai suoi compagni che hanno disatteso la sua indicazione, non ne fa un problema “morale” – non si tratta di un “peccato” – ma un tema di sapienza, di comprensione profonda delle cose, di capacità di cogliere i “segni” del tempo…”Ma ora vi invito a farvi coraggio…”: ecco, al ver.22, l’autorevolezza di una ripresa di parola da parte di Paolo. E a questo punto egli, con umile franchezza, rivela la fonte divina di quello che sta per dire. Mi permetto di sottolineare che questa visita dell’angelo non deve essere necessariamente intesa come un “miracolo”. Mi piace coglierla, e comunicarla a voi, come il segno e il frutto della preghiera. La preghiera, e dunque la preghiera più tipica della fede ebraico-cristiana, e cioè l’ascolto del Signore che parla nella Scrittura, è sempre, in certo modo, la visita dell’angelo! Nel senso che nell’ascolto orante della Parola, la Parola stessa diventa “annuncio a me”, “annuncio per me”: Parola che diventa “evento per me”.
E’ molto bella anche la “definizione” del rapporto di Paolo – e di ogni credente – con Dio: “quel Dio al quale appartengo e che servo”, dove il servire Dio nasce e consegue al vincolo di comunione e di appartenenza figliale che Egli stabilisce con noi.
Si può dire che quello che Paolo ora afferma di quello che li aspetta è qualcosa che egli ha “capito” nella sua preghiera? si può dirlo, anche se mi pare che sia meglio ritenere che egli lo “ha ascoltato ascoltando la Parola”. Ma se vi sembrano inutili elucubrazioni, lasciate perdere!
E’ meraviglioso che Paolo possa dire che il Signore gli ha “regalato” – questo è il significato più semplice e letterale del verbo – “tutti quelli che navigano con te”. La più grande grazia che il Signore mi ha fatto è stata quella di essere sempre imbarcato con qualche santo!
Vi lascio a faticare nel mare in tempesta dei vers.27-32, cogliendo insieme a voi l’importanza di quello che Paolo dice al centurione e ai suoi soldati. E cioè che bisogna stare insieme, che tutti sono preziosi per la storia della nostra salvezza. Che nessuno deve scappar via per conto suo. Non ce la caverebbe lui, e senza di lui non ce la caveremmo neanche noi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.