1 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2 Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3 Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5 Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6 ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7 Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8 Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9 Chi ha orecchi, ascolti».

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Non credo opportuno cercare a tutti i costi significati speciali per i vers.1-2 di questo inizio del cap.13. Tuttavia mi sembra suggestiva l’immagine di questa folla sulla riva del mare che ascolta Gesù seduto sulla barca. Una barca che, mi sembra, finalmente è arrivata alla sponda della storia di Israele e di tutta l’umanità. Come sempre , la folla è una moltitudine indistinta di persone, dove ci può essere ogni tipo di vicenda e di situazione…Una specie di contrasto bellissimo tra il solo Gesù e la folla umana. Lui, il Salvatore del mondo, rivolto a ciascuno – come ben vedremo nel seguito – e a tutti. Dunque non una separazione tra Gesù e la folla, ma, finalmente, un incontro, atteso e preparato da tutta la vicenda di Israele. Preparato da Dio e custodito dal suo popolo come speranza di salvezza per sè e per tutta l’umanità.
Preferisco rimandare qualche osservazione specifica sul significato delle “parabole”: forse è meglio che prima ne ascoltiamo qualcuna cogliendo di volta in volta un particolare. Devo dire di essere un po’ stupìto che in un ambiente “marino” si parli di vicende della campagna. Sia l’immagine del mare e della pesca, sia appunto quella della terra e dei suoi frutti sono presenti e di rilievo nell’insegnamento del Signore. Qui mi sembra di vedere una convocazione di entrambi le immagini, come del resto vedremo in seguito.
Mi permetto di approfittare del “taglio” del nostro testo che, fermandosi al ver.9, ci mostra solo e semplicemente il gesto del seminatore. Veramente vengono sottolineate anche le diverse direzioni di questa seminagione e quindi le conseguenze che ne derivano. Però l’intero brano è dominato dal gesto del seminatore e dal cadere del seme nei diversi terreni. Dappertutto! Come è certamente varia e indistinta la folla che lo ascolta, altrettanto è ampio il gesto del seminatore al punto di sembrare quasi uno “sperpero” dissipatore e imprudente. A me piace cogliere in questo la volontà divina di portare il suo dono dappertutto. Il dono si rivela in tutta la sua pienezza proprio quando è radicalmente incondizionato. Per questo, il gesto del seminatore è ben più ampio degli stretti confini tra terreni molto diversi. Intanto è importante prendere atto della volontà del Signore di arrivare veramente ad ogni condizione, anche a quelle più evidentemente inadatte o addirittura dannose per il suo dono. Si potrebbe addirittura osservare ironicamente che la terra buona è l’unico terreno che accoglie e produce, tra i molti nei quali il gesto del seminatore non ha avuto e non può avere frutto.
Ma c’è anche un’altra osservazione che mi pare preziosa nel nostro testo. E cioè questa consegna, questo passare del seme dalla mano e dall’intenzione del seminatore alla complessa avventura della storia. C’è un passaggio “drammatico” nel quale il gesto del seminatore deve consegnarsi alla caotica vicenda della creazione e della storia. Le “spiritualità” propongono piuttosto un altro itinerario, e cioè che sia una condizione della storia a staccarsi e a sollevarsi da tutto ciò in cui è immersa per entrare in un mondo nuovo. Qui è il rovescio! E’ il seme che inevitabilmente si getta, cade (!), e si consegna al tumulto e all’incertezza di ogni terreno. E’ un’ikona interessante!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
In questa parabola del seminatore notiamo come elemento centrale l’universalità di questo gesto del Padre, questa mano tesa, che anche ieri vedevamo.
E’ importante questa “uscita” del seminatore. Al cap. 20 vedremo anche il padrone del campo “uscire” per cercare a più riprese lavoratori per la sua vigna, e chiama tutti, anche gli operai dell’ultima ora, perché per tutti ci sia la salvezza.
Questa (piccola) parte che dà il frutto è preziosa: è importante ritornare continuamente alla necessità dell’ascolto. In Marco la parabola inizia con il comando: “Ascoltate” e termina, come qui ancora con un comando ad ascoltare: “Chi ha orecchi per ascoltare ascolti!”
Le folle sulla spiaggia sembrano ricordano la promessa di Dio ad Abramo che la sua discendenza per fede sarebbe stata numerosa come la sabbia del mare.
E’ possibile che ci sia sconforto nella seminagione (della parola) perché non porta frutto. Come per questo seminatore, del quale molti semi non portano frutto. Nella spiegazione che leggeremo poi, il seme è la parola di Dio. Il seminatore non sceglie dove piantare ma semina in diversi terreni. In ogni terreno il seme deve portare frutto. Dobbiamo chiedere che il seme piantato porti frutto per Dio.
Gesù “uscì” di casa, come il seminatore “uscì” a seminare. Questo ci ricorda cioò che Giov scrive all’inizio del suo vangelo: “La parola si fece carne ed abitò fra noi”: questa “uscita” significa l’incarnazione di Gesù. Il brano di oggi sembra suggerire che affinché il seme porti frutto non basta che Gesù esca di casa e si sieda sulla riva del mare, ma anche deve salire sulla barca e sedere sul mare. Non basta che il Verbo si faccia carne, ma bisogna che anche muoia di morte di croce. E’ per mezzo della sua pasqua che Gesù potrà davvero seminare il seme dovunque.
A proposito del terreno buono. Nei giorni scorsi Gesù ha detto che l’unico “segno” che verrà dato a questa generazione sarà il segno di Giona profeta, e cioè il Figlio dell’Uomo resterà “nel cuore della terra” per tre giorni e tre notti. Anche questo è preannuncio della pasqua. Il seme (Gesù) potrà portare frutto numeroso per il fatto che rimane nel terreno buono (la sua Pasqua)n per tre giorni e tre notti.
Le parole conclusive di oggi: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti” unite a quanto ascoltavamo nei giorni scorsi: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” ci sottolineano di nuovo la necessità di ascoltare Gesù, raccolti intorno a lui come la folla di oggi, discepoli e familiari del Padre, pronti per il buon raccolto che Lui farà.
In Matteo Gesù non dice che cosa il seminatore stia seminando, usa una generica indicazione plurale, quasi ad indicare che i semi sono di molti tipi, che le parole che semina sono tante.
Il seme seminato sulla pietra, anche esso ha speranza di portare frutto, perché “Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste pietre”. Spetta infatti a Dio il fare germinare il seme, farlo crescere e fruttificare, oppure farlo immediatamente fruttificare (come sembra suggerire Matteo, che tralascia gli altri verbi).
Nella parabola di oggi ciò che colpisce non è tanto la seminagione sui terreni più sconnessi e disadatti (che sembra essere stato il modo consueto di seminare ai tempi di Gesù, a sentire gli esperti di geografia biblica) quanto piuttosto la straordinaria fecondità che il seme ha nel terreno buono. Questo ricorda ciò che Gesù esclama in Gv 12:32: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Il raccolto straordinario, derivato dal “seme” incarnato e sepolto per noi, deriva – come già più sopra veniva suggerito – dalla Pasqua di Gesù.