13 Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14 Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15 Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17 Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18 Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19 E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20 Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21 Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
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Il ver.13 mi sembra dica due atteggiamenti molto importanti da parte di Gesù. Egli si ritira in un luogo deserto e in disparte rispetto al grande violento tumulto di quel potere politico e religioso che alla fine sarà strumento della sua Pasqua di morte e di gloria. E questo suo ritirarsi è aperto verso la grande folla dei poveri e dei malati. Come abbiamo già accennato, e come troveremo, la sua opera di salvezza si aprirà anche al di là dei confini di Israele, verso le genti. Lo stesso ver.13 sottolinea questo rapporto con la folla, che viene a sapere del suo viaggio e lo segue a piedi: osserva il tragitto della sua barca e lo raggiunge.
Renderei in italiano il verbo della compassione con un semplice “ebbe compassione”, piuttosto che il più soggettivo “sentì compassione”. Ci troviamo infatti davanti davanti al verbo che in tutta la bibbia spesso esprime la compassione divina per il suo popolo e in particolare per i più piccoli. Anche nel confronto con le altre cinque versioni del miracolo dei pani e dei pesci – sia Matteo che Marco lo ricordano due volte, e una sia Luca che Giovanni – è impressionante vedere qui questa esclusiva attività “terapeutica” di Gesù, senza che si parli di insegnamenti da parte sua. Semplicemente si piega sui poveri.
Il sopraggiungere della sera suggerisce ai discepoli di chiedere a Gesù che congedi quell’assemblea di povera gente perchè possa andare nei villaggi a comperare qualcosa da mangiare. Evidentemente il luogo è deserto ma non troppo isolato. Gesù – e questo è un particolare importante del nostro testo e dei paralleli di Marco 6 e di Luca 9 – non accetta questa indicazione e sollecita i discepoli ad essere loro stessi a dar da mangiare alla folla. Al ver.17 viene evidenziata la sproporzione tra il pochissimo che i discepoli hanno a disposizione e la quantità di gente che è con loro. Dunque, poteva fare a meno di coimpiere il miracolo accettando la proposta ragionevole dei suoi? E’ che in quel momento Gesù, raccogliendo anche tutta la tradizione dei padri ebrei, vuole preparare l’istituzione di quella “Cena” così inutile e così assolutamente necessaria: liturgia del suuo sacrificio d’amore e della Cena nella quale Lui si dona a noi per la nostra salvezza, vero Pane del cielo.
Gesù si fa portare il poco che hanno, non lo moltiplica (questo è importante e corregge una secolare cattiva abitudine di leggere quello che non è scritto!), alza gli occhi al cielo, cioè verso il Padre, recita la benedizione (le note delle bibbie ci dicono che si tratta della preghiera ebraica all’inizio del pasto), spezza i pani e li dà ai discepoli e i discepoli li danno alla folla. I vers.20-21 sottolineano come alla iniziale sproporzione tra la molta gente e il poco cibo, ora subentri quella tra la grande folla e l’avanzo dei pezzi: dodici ceste piene (una per ogni apostolo che porterà il pane del Vangelo fino ai confini della terra?). Il grande Ivan Ilich dice che non è vero che al mondo oggi siamo in troppi con troppo poco pane. E’ che abbiamo disimparato a spezzare e a condividere. Se oggi abbiamo l’opportunità e la grazia di celebrare l’Eucaristia, osserviamo con affetto speciale lo spezzarsi del Pane perchè tutti se ne possano nutrire.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Colpisce molto la successione e il contrasto tra il banchetto pagano di Erode e la liturgia eucaristica di oggi: là il banchetto portava la morte e qui porta la vita e il cibo per tutti.
E come molte volte ci siamo detti, non si tratta del fatto che Gesù ‘moltiplica’ i pani e i pesci, quanto piuttosto che Gesù ‘spezza’ le piccole cose che gli vengono portate. E’ la ricchezza della piccolezza, è la sovrabbondanza che scaturisce dalla frantumazione.
Possiamo unire le parole di oggi alle immagini del Regno dei cieli che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi, soprattutto quella del granello di senape, che è piccolissimo, e cresce per dare riposo agli uccelli del cielo. Oggi pure abbiamo una immagine bella di come il Regno di Dio cresce: ci sono pochi pani e pochi pesci, e i discepoli pensano che ciò non possa bastare a nutrire la folla, ma solo loro stessi. Ma poiché Gesù li benedice e li spezza, bastano per molti. E inoltre molti pezzi avanzano. E’ un segno che anche per i discepoli il pane e i pesci poi sono ancora di più di prima. E’ il mistero dell’amore, poiché se l’amore viene donato gratuitamente, senza cercare ricompense, allora non diminuisce donandosi, ma cresce.
E Gesù vuole che i discepoli partecipino a questa crescita del Regno di Dio: Non c’è bisogno che le folle se ne vadano; date voi da mangiare a loro.
E’ solo di Matteo questa affermazione di Gesù: “Non c’è bisogno che vadano…”. Questa parola ‘bisogno’ l’abbiamo già incontrata al cap. 9, quando Gesù diceva: Non hanno bisogno del medico i sani, a i malati… E Gesù mostrava compassione per le folle che erano stanche e come pecore senza pastore. E poi manda i discepoli a predicare. E’ come qui, che Gesù ha compassione delle folle, e dice ai discepoli di nutrirle. Ed essi li nutrono di quei pani e pesci che sono il segno della predicazione del Vangelo e della celebrazione del banchetto eucaristico.
Il brano di oggi è importante perché descrive come Gesù vuole che noi suoi discepoli collaboriamo con Lui, nelle vicende della vita quotidiana. Il testo presenta infatti una ordinata successione di azioni. I discepoli cominciano con il presentare a Gesù un problema, una necessità evidentemente insormontabile: le folle hanno fame e non c’è cibo. Gesù ordina ai discepoli di prendersi loro cura del problema. I discepoli – molto opportunamente – anziché partire in quarta a ‘fare del bene’, presentano a Gesù, con onestà, la loro inadeguatezza a eseguire il suo comando. Allora Gesù chiede di portargli quel poco che hanno, che sono. Su quel poco Gesù rende grazie, quel poco Gesù benedice (è la celebrazioni del mistero della Eucaristia), e ora i discepoli possono distribuire, nella quotidianità della vita, quel poco così fatto nuovo e sufficiente da Gesù a quanti ne hanno bisogno. E’ indicata qui la necessità di unire sempre (come d. Giuseppe ci ha insegnato) il momento della celebrazione dei misteri con il momento della operosità, nella vita cristiana, superando l’illusione di potere operare senza Gesù sminuendo il valore della celebrazione eucaristica e della preghiera, ed evitando il pericolo di separare la devozione dalla vita.
Così ci suggerisce anche S. Paolo in Col 3:17: “E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie (= eucaristia) a Dio Padre.”
Se Gesù va via (v. 13) la gente si preoccupa e ha bisogno, e allora lo segue. Hanno bisogno di Lui. Dove Gesù non c’è, bisogna che noi lo cerchiamo perché ci possa aiutare secondo le nostre necessità.
Non abbiamo niente se non queste poche cose. Così anche Pietro, alla richiesta di aiuto da parte del paralitico al tempio, gli risponde: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. (Atti 3:6). Possiamo dare quel poco che abbiamo, perché ci è stato dato da Gesù, e che può aiutare le persone bisognose che ci stanno intorno.