12 Il peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. 13 Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia. 14 Il peccato infatti non dominerà su di voi, perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia.
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La premessa per una prima parziale comprensione delle parole di oggi sta nel passo precedente, che parla soprattutto del significato del battesimo (cf. Rm 6,1-11), e nelle ultime parole del nostro brano: «perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia» (v. 14b). Avendo dunque creduto ed essendo stati battezzati, anche noi, come i Romani primi destinatari della Lettera di Paolo, non dipendiamo più dal regime delle opere della Legge, che ci condanna come trasgressori, ma dal dono di grazia, ovvero dalla giustizia che Dio ci ha gratuitamente offerto per avere creduto al suo Figlio e per avere incominciato a vivere in conformità alle opere della fede, senza le quali la fede è morta (cf. Gc 2,17).
Dalla constatazione di questi fatti, trattati nei precedenti capitoli della Lettera, nasce la triplice esortazione odierna: «non regni» (v. 12), «non offrite» (v. 13), «offrite» (v. 13). Tali esortazioni poggiano su una verità di fede: «Il peccato infatti non dominerà su di voi» (v. 14a).
La prima esortazione del v. 12 inaugura la possibilità che anche in un corpo come il nostro – che resta mortale anche se col battesimo siamo morti e risorti con Cristo, cioè siamo passati dalla morte alla vita – si possa interrompere il circuito frustrante della sottomissione ai desideri del corpo stesso («suoi» si riferisce al corpo e non al peccato).
La seconda doppia esortazione del v. 13 avverte che si può cambiare il destinatario dell’offerta delle nostre membra: non più all’ingiustizia ma a Dio.
Noto che quest’ultimo motivo è molto caro al nostro Papa, che insiste frequentemente sulla necessità di ritrovare Dio nell’esistenza cristiana e umana.
Giuseppe Scimè