Sant Ignazio di Antiochia"…mi chiedo quindi se ci sono ancora nella nostra umanità le forze sufficenti per sostenere una vita secondo i fondamenti e le leggi del cristianesimo. Oggi le persone non sembrano cattive e peccatrici, ma semplicemente deboli davanti a una proposta di vita bella ma irrealizzabile…"

E’ una delle molte domande che leggo in uno scritto piuttosto lungo e impegnativo, assolutamente anonimo, che mi è arrivato in questi giorni. Le domande appunto sono molte, ma tutte sostanzialmente nella direzione di quella che ho citata, e orientate a delineare un "ideale" di vita incompatibile con l’umanità dei nostri giorni. Lo scritto, più che essere cinico, è addolorato. E questo è un merito che gli va riconosciuto e che ho pensato doveroso tenere in considerazione. Dico subito che il cristiano come "eroe" l’ho sempre guardato con un istintivo sospetto, e in ogni modo non l’ho mai pensato come un ideale da proporre. Per questo non mi è mai piaciuta una memoria "eroica" degli uomini e delle donne che la Chiesa ha riconosciuto e offerto come "santi". C’è infatti una nota tipica della santità, ben presente nella considerazione e nell’affetto delle generazioni credenti, ed è quella di avvertire con stupore come i santi abbiano saputo vivere bene le condizioni comuni della vita, che sono di tutti e che possono a tutti capitare. I santi sono prima di tutto i fratelli e le sorelle di una generazione che in loro ha conosciuto e ammirato la visita di Dio al loro mondo e al loro tempo. Ora, si dice che i nostri giorni sono particolarmente segnati da una grande fragilità – per non dire povertà – culturale e spirituale. Dunque siamo in un tempo costretto a rinunciare alla luce della fede, o perlomeno rassegnato ad un "cristianesimo per pochi"?. Non lo penso assolutamente. E questo almeno per due motivi. Il primo, quasi ovvio, è che non ci si deve stupire delle conclusioni pessimistiche cui arriva ogni generazione credente, davanti alle ferite e ai drammi della storia, circa la possibilità che il Vangelo trovi posto nella vicenda degli uomini. Il secondo motivo è la semplice constatazione che Dio ad ogni tempo regala tesori di santità, e cioè dimostrazioni di piena praticabilità evangelica, per cui non si può mai dire che non c’è spazio per la speranza cristiana. Ignazio di Antiochia, Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, S.Teresa di Gesù Bambino, Papa Giovanni…sono regali meravigliosi che Dio ha fatto non solo ai cristiani ma all’intera umanità in condizioni storiche diverse tra loro e accomunate da situazioni razionalmente scomode e inadatte alla luce evangelica. Ma il vero punto focale è un altro. Ed è quello per cui il Vangelo non solo non ha bisogno di condizioni adatte, ma addirittura si compiace di visitare l’uomo nelle sue vicende più deboli e ferite. Proprio in questi giorni la mia povera preghiera è passata su un versetto della Seconda Lettera di Paolo ai Corinti, dove l’Apostolo racconta di essersi trovato in una città che mai aveva conosciuto il Vangelo, e in grandi opportunità di annunciare il dono della fede; ma di essersi trovato in tale desolazione per la mancata presenza di un fratello che lo sostenesse, da decidersi a lasciare l’impresa e ad abbandonare luoghi e progetti ("Corinti 2,12-13). Uno scandalo di fragilità in una persona chiamata a responsabilità supreme! Ma a Paolo piaceva affermare:"Quando sono debole, allora sono forte!". Perchè quello che conta non è essere forti, ma invocare e accogliere la forza di Dio. Buona Domenica. d.Giovanni.