Il mio bambino ha paura della morte. Penso sia come tutti, ma io sono preoccupata perché appena vede o sente di questo si chiude nel silenzio. Non so come parlargli.

Della sua bellissima lettera riproduco solo questa frase che ne spiega il contenuto e il motivo. Anch’io da bambino avevo paura della morte. Adesso, non lo so. Il Vangelo mi ha abituato a pensare alla mia vita come ad una strada per tornare dal Padre dove mi aspettano anche tante persone carissime. Mi aspetta il giudizio di Dio, e davanti a questo sarei impaurito se non incontrassi ogni giorno la misericordia infinita del Signore.

Per vincere questa paura, la mia mamma mi portava, nel paese dove durante la guerra abitavamo nella casa dei nonni, alla casa dove un vecchietto stava per congedarsi. C’erano molte persone, sempre, davanti alla casa di uno che se ne andava. La mamma mi faceva parlare con qualcuno di loro che mi  assicurava: “Non può morire. Finchè non arriva il prete, non può morire”. E il prete arrivava. Non da solo ma con i chierichetti e la Croce, e i lumi. Quando entrava, la mamma mi spiegava che era andato a dire delle preghiere e anche un invito a partire senza paura. Una parola in latino gli diceva. Mi sembra, “proficisce”. Parti. Parti senza paura perché il Signore ha visto che anche tu hai portato la tua croce e adesso puoi entrare nella gioia per sempre. E il vecchietto non moriva. Partiva. Così, quella sera, tornando a casa per mano alla mamma, mi sembrava che la morte non mi facesse più paura. Quasi mi sembrava che non ci fosse la morte. Non penso che questi ricordi senili possano servirle per il suo bambino, ma forse le daranno qualche suggerimento per dirgli una parola sulla morte non secondo la violenza della nostra paura, ma secondo la potente dolcezza del Vangelo.

Buona Domenica. Giovanni. 27 ottobre 2011

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E’ stato annunciato che quest’anno a Bologna, nell’emergenza della stagione più rigida, si offriranno possibilità di riparo e di accoglienza non solo ai cittadini in difficoltà, ma anche ai non-residenti. Sono contento di questa notizia, perché anche ieri ho “smarrito” una persona che aveva bisogno di aiuto, perchè le nostre strutture non possono  accogliere  e soccorrere chi non è nostro “concittadino”. E’ incredibile che una città come Bologna si trovi ancora in un atteggiamento così lontano dallo spirito della nostra Costituzione. In questi anni nelle nostre comunità cristiane siamo stati costretti ad uscire molte volte da tale illegale “legalità”, perchè è contro la coscienza cristiana il non vedere in ogni persona non solo un concittadino ma addirittura un fratello. Una persona per la quale il Signore ha offerto la sua vita! Gli anni scorsi ho partecipato volentieri ad un progetto che, con il sostegno finanziario della nostra regione, garantiva la possibilità per bambini palestinesi in gravi condizioni di salute di essere accolti e curati negli ospedali israeliani. E questo, malgrado le difficoltà e la pesantezza del conflitto che rattrista e insanguina la Terra Santa. La settimana scorsa ho partecipato ad un breve viaggio in Eritrea, dove medici italiani promuovono la competenza tecnica dei loro colleghi africani per interventi di ortopedia chirurgica a favore di bambini malformati. E questo all’interno di un progetto che prevede il finanziamento da parte di benefattori italiani per l’edificazione di sale operatorie adeguate a queste patologie infantili. E’ stata anche questa una bella avventura di solidarietà e di amicizia. Adesso è bello sperare che anche a Bologna si faccia un passo avanti nel riconoscimento che ogni persona in necessità deve trovare tra noi accoglienza e protezione. E sia nostro concittadino sia nel freddo che nel caldo: la fraternità non ha stagioni.

Buona Domenica a tutti voi.  Giovanni. 4 novembre 2011

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Caro Giovanni, ho letto di un tuo intervento sul problema educativo. Io ho fatto molta fatica a lasciarmi educare, perché non riuscivo a capire il significato delle regole che mi venivano date sia in famiglia sia nella scuola, sia poi al lavoro. Adesso sono mamma e faccio fatica a educare i miei due figli oggi adolescenti. Ma che cosa è questa benedetta educazione?

Penso tu abbia visto qualcosa di un mio piccolo intervento di introduzione ad una riflessione condotta da altri, ben più esperti di me. Mi era chiesto di dire due parole sul termine “educare, educazione”. Rispondevo brevemente ponendo la differenza tra il concetto classico di educazione e il pensiero biblico. Per un greco, educare è arte della levatrice, simbolo di una concezione per la quale ogni persona porta in sé, dentro di sé, tutto il patrimonio di verità, di bellezza e di bontà che è proprio dell’uomo. Per i “semiti” della Bibbia, la faccenda è diversa. Per loro – e anche per me – educare significa liberare, condurre fuori. Anche la grande impresa della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto è stata da parte di Dio il grande inizio della lunga educazione del suo popolo verso il Messia. Questa interpretazione mi accompagna da sempre, perché tale mi è sembrata l’educazione ricevuta soprattutto dalla mia famiglia. E questo mi accompagna nella piccola quotidiana esperienza di incontro e di cammino con tante persone. Considerare l’educazione come un evento di liberazione mi ha aiutato e mi aiuta molto! A partire dal giudizio che si può fare di ogni situazione, come necessità e opportunità di promuovere un percorso. Non tanto quindi un rapporto con una sistema di leggi e di regole, ma un itinerario guidato dalla Parola del Vangelo, in un progetto di progressione incessante, al punto che io stesso per primo ne ho bisogno, e per questo ho bisogno di qualcuno che mi guidi e mi sostenga. Allora, ognuno è discepolo e anche maestro. Nessuno è arrivato, e nessuno possiede la verità. Non perché non ci sia la verità, ma al contrario! Perché la verità è più grande di ogni risultato raggiunto e ottenuto. Bisogna continuare a camminare. Verso la verità tutta intera.

Buon viaggio. E buona Domenica. Giovanni. 11 novembre 2011

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Caro don Giovanni, non la conosciamo di persona, ma leggiamo volentieri le sue lettere della domenica, e lei ci è simpatico. Adesso perdoni la nostra spregiudicatezza. Siamo fidanzati da due anni. Siamo credenti anche se non frequentiamo con regolarità la chiesa. Le chiediamo di dirci perché non possiamo metterci insieme se non siamo ancora sposati. Che male c’è, se ci vogliamo bene fino in fondo?

Cari amici, dovete fare come in coscienza vi sembra meglio. Io posso dirvi questo. Non solo per il matrimonio e per la questione che ponete, ma per ogni realtà e ogni vicenda della vita la fede di Gesù ci consente di vedere e di accogliere tutto e tutti come dono di Dio. Anche per il bene che vi volete, sono convinto che tu ragazzo consideri la tua ragazza come il regalo più grande che hai ricevuto, e anche tu ragazza vedi nel tuo ragazzo il dono più prezioso che hai potuto sperare. Nella nostra vita di fede il matrimonio è il momento in cui noi accogliamo pienamente e per sempre il regalo del Signore. Alla fede piace non prendere niente, non impadronirsi di niente e di nessuno, e neanche tutto subire, ma sempre tutto ricevere dal Signore e dalla sua bontà. Penso che anche due che, come dite voi, si mettono insieme senza sposarsi possono pensare di essere l’uno per l’altro il più bel regalo della vita. Ma i regali non si comprano, né si rubano. Solo si ricevono! Vivere insieme non vuol dire aver ricevuto un regalo una volta per sempre, ma vuol dire ricevere ogni giorno il regalo di volersi bene, un bene che non può che crescere. E quello che si dice per il matrimonio, si deve dire per tutto. Anche per le prove difficili della vita. Se ci caschiamo noi da soli, come mi è capitato un anno fa e mi sono rotto un femore, è una pena che dobbiamo portare da soli. Se anche una prova la riceviamo dal Signore, anche quella prova può diventare una fonte di gran bene. A me è capitato così. Spero che anche per voi tutto sia sempre più non una cosa che capita, né una cosa che ci pigliamo o magari subiamo, ma un regalo che ci meraviglia e ci commuove.

Buona Domenica. d.Giovanni. 19 novembre 2011

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Ho letto attentamente quello che lei ha scritto a quei due giovani che pensano di vivere insieme senza sposarsi. Dunque, formano una famiglia? Dei miei tre figli solo uno si è sposato in chiesa. Un altro si è sposato in comune, e il terzo convive con una compagna. Sono tutti e tre famiglie? Io spero di si, ma mi sembra tutto così debole.

Domenica scorsa si parlava non di famiglia ma di matrimonio. Oggi lei porta avanti il discorso. La famiglia: come si può vedere se si tratta veramente di famiglia? Certo noi cristiani siamo felicissimi di poter pensare la famiglia a partire da Dio stesso che la forma con la sua benedizione e l’accompagna con la sua protezione. E situazioni come quello degli altri due suoi ragazzi? A me sembra che quando un uomo e una donna hanno unito la loro vita e da questa unione nasce anche un figlio o nascono dei figli, bisogna pensare che si tratta di famiglie. Ci si deve chiedere come possiamo anche a loro annunciare e testimoniare il mistero nuziale, la sua bellezza e la sua forza. Mi sembra che lei voglia tenerli vicini tutti con lo stesso affetto. E questo è già un segno potente della nostra fede. Sono tutti figli di Dio, perché Gesù ha dato la sua Vita per tutto il genere umano. E tante cose preziose nella loro vita ci sono già: si vogliono bene, hanno magari un bambino che educano con amore. Questo non ci impedisce di sperare e di pregare perché anche per loro ci possa essere il segno del Signore. A me capita spesso di celebrare matrimoni di persone che da anni convivono e proprio all’interno della loro vicenda hanno trovato il dono di Dio. In ogni modo la comunità cristiana è lieta di battezzare i loro figli e di accompagnarli in tutto il loro cammino di iniziazione cristiana. E con uguale delicatezza e attenzione dobbiamo essere vicini a chi vive il matrimonio e la famiglia nella benedizione delle nozze. Anche loro portano la fatica e la fragilità dei vincoli d’more oggi così esposti alle prove della fatica quotidiana dell’esistenza. Sapienza, pazienza e benignità: le auguro un buon cammino nella sua missione preziosa di vicinanza e di protezione di tutti i suoi cari.

Buona Domenica. d.Giovanni. 25 novembre 2011