Nel paragrafo 4 della II omelia sull’Esodo Origene si sofferma a decodificare alcuni tratti dei “misteri infiniti” contenuti nel racconto del salvataggio dell’infante Mosè dalle acque del Nilo. La figlia del Faraone che si bagna nelle acque è la Chiesa dalle genti che mediante il battesimo si distacca dagli idoli. La sorella di Mosè è la Sinagoga che trattiene il bambino nutrendolo col latte del senso letterale della Legge. La corba spalmata di bitume rappresenta il senso letterale della Legge. La Chiesa riceve Mosè grande e robusto e lo introduce nella sapienza che consiste nella lettura spirituale della Legge. La Chiesa ricompensa la Sinagoga per il dono della Legge mostrandosi libera dagli idoli e capace di intendere spiritualmente l’autorivelazione dell’unico Dio. Gli ascoltatori cristiani dell’omelia di Origene si guardino dunque da interpretazioni parziali perché letteraliste della Scrittura ed imparino, mediante la preghiera rivolta a Gesù Cristo, a vedere “come è grande Mosè e come è sublime”.

Nel paragrafo 1 della III omelia sull’Esodo Origene rileva dalla dichiarazione di Mosè che si dice “di voce esile e tardo di lingua” la drammaticità dell’esperienza di Mosè nel roveto davanti a Dio che gli parla, cioè a Gesù Cristo che gli si rivela. L’esperienza di Dio appare vera se conduce chi la vive alla coscienza della propria debolezza e fragilità.