24 Se ho riposto la mia speranza nell’oro e all’oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia”, 25 se ho goduto perché grandi erano i miei beni e guadagnava molto la mia mano, 26 se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, 27 si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio, 28 anche questo sarebbe stato un delitto da denunciare, perché avrei rinnegato Dio, che sta in alto. 29 Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico? Ho esultato perché lo colpiva la sventura? 30 Ho permesso alla mia lingua di peccare, augurandogli la morte con imprecazioni? 31 La gente della mia tenda esclamava: “A chi non ha dato le sue carni per saziarsi?”. 32 All’aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte. 33 Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto, 34 come se temessi molto la folla e il disprezzo delle famiglie mi spaventasse, tanto da starmene zitto, senza uscire di casa. 38 Se contro di me grida la mia terra e i suoi solchi piangono a una sola voce, 39 se ho mangiato il suo frutto senza pagare e ho fatto sospirare i suoi coltivatori, 40a in luogo di frumento mi crescano spini ed erbaccia al posto dell’orzo. 35 Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda! Il documento scritto dal mio avversario 36 vorrei certo portarlo sulle mie spalle e cingerlo come mio diadema! 37 Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi presenterei a lui come un principe». 40b Sono finite le parole di Giobbe.
Omelia dialogata messa Dozza 09.03.2021 Gb 31,24-40
COMMENTO
La semplicità e la limpidezza di questa confessione di Giobbe ci permettono di vedere la forza dell’incontro tra la fatica dell’esistenza e la nostra fragilità.
Siamo facilmente trascinati verso la seduzione della ricchezza materiale, che al ver. 24 si autodenuncia quasi come idolatria: “all’oro fino ho detto: “Tu sei la mia fiducia””.
E’ molto interessante ai ver. 26-27 il fascino del creato, che il nostro testo segnala come pericoloso per la verità e l’autenticità del primato della potenza del Creatore rispetto alla creatura.
E’ tuttavia di grande importanza anche la citazione del bene che abbiamo ricevuto, che ci ha consentito anche le vie più semplici di accoglienza e di carità: “All’aperto non passava la notte il forestiero e al viandante aprivo le mie porte” (ver. 32).
Con l’aiuto del Signore, Giobbe afferma ai ver 33-34 di avere superato ogni tentazione di rispetto umano. Tuttavia, al ver. 35, ci si affida nuovamente al Signore, che ha compassione della nostra fragilità.
Ai ver. 35-37 sembra infatti che ci si voglia affidare all’amore del Signore, fino a non aver paura di tutti i nostri limiti. Noi non siamo degli innocenti, ma dei poveri peccatori amati e perdonati. Per questo, confidando nella misericordia di Dio, Giobbe desidera che il “documento scritto” dei suoi peccati possa essere portato sulle sue spalle (gesto che ricorda la croce di Gesù!) e quasi un punto di vanto come un “diadema” che lo presenta a Dio come “un principe”! La sua stessa “firma” (ver. 35) è, come segnala una nota delle nostre bibbie, un segno di “tau”, scritto come una piccola croce.
Dio ti benedica e tu prega per noi. Giovanni e Francesco