37 Allora li fece uscire con argento e oro;
nelle tribù nessuno vacillava.
38 Quando uscirono, gioì l’Egitto,
che era stato colpito dal loro terrore.
39 Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.
40 Alla loro richiesta fece venire le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41 Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque:
scorrevano come fiumi nel deserto.
42 Così si è ricordato della sua parola santa,
data ad Abramo suo servo.
43 Ha fatto uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44 Ha dato loro le terre delle nazioni
e hanno ereditato il frutto della fatica dei popoli,
45 perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi.
Alleluia.
Questa conclusione del Salmo attira fortemente la mia attenzione verso un pensiero che mi sembra sia bene raccogliere, riguardante l’interpretazione della storia sia personale sia collettiva. In queste ultime battute tutto viene ricordato in un orizzonte di assoluta positività. Tutto quello che accade e viene ricordato nella preghiera esprime in totale semplicità e essenzialità la meraviglia della potente azione salvifica di Dio, e la risposta accogliente del popolo. Così scompaiono particolari anche importanti e non sempre positivi – tutt’altro! – di quella stessa storia, per enfatizzare in suprema sintesi l’opera di Dio e la fede del popolo. Notiamo, per esempio, come al ver.37 l’uscita di Israele dall’Egitto non sia accompagnata dalle memorie di pericolo e di paura che ben conosciamo e si enfatizzi un particolare che in altri luoghi della Scrittura è piuttosto marginale, e cioè che Dio fece uscire il suo popolo “con argento e oro; nelle tribù nessuno vacillava”. Si mette in evidenza l’essenziale, la potente opera divina della salvezza, non ricordando tutti i segni e gli eventi della fragilità e della peccaminosità del popolo.
Al contrario, si mette in evidenza al ver.38, un particolare sconosciuto almeno in questi termini generali, secondo cui “quando uscirono, gioì l’Egitto, che era stato colpito dal loro terrore”, e si ignora il furioso inseguimento egiziano per fermare la fuga di una massa di poveri schiavi! Allo stesso modo anche le richieste di cibo da parte del popolo, che in altri luoghi sono segni di poca fede e di mormorazione che Dio arriva a punire, sono al ver.40 segno ulteriore del grande amore del Signore per la sua gente. Lo stesso si deve dire per la sete che Dio placa addirittura con acque che “scorrevano come fiumi nel deserto”! (ver.41). Ed è bello così! Quando la storia diventa preghiera, memoria di meraviglie e lode a Chi le ha operate, tutto si enfatizza. Ci si potrebbe domandare se questo non è mistificazione della storia, ma penso si debba dire che chi è stato direttamente partecipe e beneficiario di doni d’amore, ne diventa giustamente l’interprete ammirato e riconoscente: e allora, anche ciò che è piccolo diventa immenso e la gioia riconoscente dimentica i passaggi più problematici della vicenda.
In questo orizzonte, Dio stesso si presenta come obbediente a Se stesso: “Così si è ricordato della sua parola santa, data ad Abramo suo servo” (ver.42), affinchè si compiano le meraviglie del suo amore per il suo popolo. E’ Lui che “ha fatto uscire il suo popolo con esultanza, i suoi eletti con canti di gioia”, facendo loro dono delle terre delle nazioni e del frutto della fatica dei popoli, come ascoltiamo al ver.44. Tutto questo risplende e agisce sul presente, e su quello che veramente è importante, e cioè la viva e concreta comunione del popolo con il suo Signore. Tutto è avvenuto “perché osservassero i suoi decreti e custodissero le sue leggi” (ver.45). A quest’ultima affermazione non va dato solo un significato etico. Nella nostra attuale fedeltà alla Parola santa che Dio aveva dato ad Abramo suo servo, noi possiamo vivere in pienezza, nell’umile realtà di oggi, le meraviglie che Dio ha compiuto in tutta la storia della salvezza. Anche noi , oggi, usciamo dall’Egitto del male e della morte, nella bellezza e nella gioia della salvezza che Dio ci dona.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Notiamo come si sottolinei, nelle vicende dell’Esodo, la premura, la delicatezza dell’amore di Dio: la nube fa ombra di giorno e il fuoco fa luce nell’oscurità della notte. E il popolo, in conseguenza, si sente sicuro: “nessuno vacillava”. – Poi c’è “la provvidenza” del cibo, e qui troviamo “il pane del cielo” e l’acqua dalla rupe. Il cammino avviene “con esultanza”, “con canti di gioia”: una caratteristica dell’incontro con il Signore che dovrebbe “colorare” anche la nostra esistenza. – Tutto avviene perché Dio vuol dare ai suoi le terre e il frutto della terra (v.44): la meta non è un paradiso o la promessa di un’altra vita migliore, bensì questa terra, questo mondo che ci è stato regalato e che dovrebbe essere l’oggetto dei nostri pensieri e del nostro impegno.