1 Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia. 2 Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. 3 Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. 4 Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l’assemblea. 5 Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l’assemblea ne riceva edificazione.
6 E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento? 7 Ad esempio: se gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra, non producono i suoni distintamente, in che modo si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? 8 E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia? 9 Così anche voi, se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! 10 Chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. 11 Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me.
12 Così anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l’edificazione della comunità.
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Le tre parole che aprono il testo mi sembrano la preziosa indicazione di custodire il grande tema dell’amore come criterio privilegiato di interpretazione e di comunicazione, come grande unico scopo di tutto quello che si dice e si fa. Il termine reso in italiano con “aspirate” significa una ricerca appassionata e forte, un desiderio profondo.
Ed è forte anche il verbo reso con “desiderate intensamente”, dove Paolo precisa che il grande desiderio dei doni dello Spirito deve dare la precedenza al dono della profezia. Questo dono viene giustamente enfatizzato perché significa il legame profondo e l’incessante tensione a che la Parola del Signore entri nella storia, diventi carne, e guidi la vicenda e l’esperienza di ciascuno e di tutti nella comunità credente. Il nostro brano è tutto dedicato al confronto tra il dono delle lingue e la profezia, per affermare che solo se accompagnato dalla profezia il parlare in lingue è dono per tutti.
Il dono delle lingue è infatti un “parlare a Dio” che nessuno comprende (ver.2), e un “edificare se stessi” (ver.4), mentre il dono della profezia “parla agli uomini per la loro edificazione, esortazione e conforto” (ver.3). Per questo, pur essendo desiderabile “per tutti parlare con il dono delle lingue”, Paolo dice: “preferisco che abbiate il dono della profezia” (ver.5). Dunque, certamente il dono della profezia è più grande di quello del parlare in lingue, a meno che chi lo fa, anche “le interpreti, perché l’assemblea ne riceva edificazione” (ver.5). (Anni fa mi sono trovato dentro un’assemblea dove tutti parlavano nelle lingue, e ne porto ancora un senso di grande imbarazzo).
Ai vers.6-11 l’Apostolo pone tre esempi molto chiari e interessanti per confermare quello che ha detto. Il primo esempio è quello del suo stesso ministero nei confronti dei Corinti: se lui si recasse da loro “parlando con il dono delle lingue”, in che cosa sarebbe loro utile “se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza, o una profezia o un insegnamento?” (ver.6). Il secondo esempio è quello degli strumenti musicali: è necessario che il loro suono sia distinto e non confuso, altrimenti sarebbe come un suono che non raggiunge il suo scopo, come una tromba che deve disporre alla battaglia, ma nessuno ne capisce il suono (ver.7). (E’ quello che, certo per mia incompetenza, mi capita davanti a molta musica classica contemporanea). Il terzo esempio è quello delle “molte lingue che vi sono nel mondo”: se non si conosce la lingue nella quale uno straniero mi parla, io e lui rimaniamo stranieri l’uno all’altro. I termine reso in italiano con “straniero” è addirittura “barbaro”. Così i vers.10-11. E tale resta chi non pronuncia “parole chiare con la lingua”, cioè chi parla in lingue senza interpretarle per gli altri (ver.9): parla al vento!
In conclusione: bisogna desiderare vivamente i doni dello Spirito, e sono da cercare, ma “per l’edificazione della comunità”. Questa ultima esortazione la legherei a quella che apre il nostro brano: “Aspirate alla carità”. Oggi il dono delle lingue è quasi scomparso. Tuttavia devo confessare che anche certi “spiritualismi”, e anche certe manifestazioni “miracolistiche” mi sembrano vicini a quello di cui parla l’Apostolo. La Parola di Dio parla nella storia e alla storia. Incontra ogni persona nella concreta situazione in cui ciascuno si trova, e a ciascuno, qualunque sia la sua condizione, porta il dono della Buona Notizia, per la sua conversione, la sua pace e la sua gioia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Non abbiamo esperienza del dono delle lingue (una sola volta don Giovanni). E la profezia? Significa comunicare parole di Dio, aiutando a capire come Egli è e qual’è la sua buona volontà. Se è così, di profeti ce ne sono; basterà pensare al nuovo vescovo di Roma e ad altri che ci illuminano. Bella l’insistenza del v.3: Chi profetizza, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. Tre scopi importanti per la comunità, soprattutto l’edificazione, sulla quale Paolo insiste. Chissà, forse anche noi possiamo dire, senza presunzione, di fare qualcosa in questa direzione, dato che è vero per ognuno di noi che “Lo Spirito del Signore è su di me…”- I doni dello Spirito li possiamo desiderare intensamente, ma soprattuitto la capacità di amare deve essere cercata con forza e intimo desiderio (v.1).