6 Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto, perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. 7 Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?
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Paolo ha voluto porre se stesso e Apollo come esempio della vita e del comportamento del cristiano. Al ver.1 del capitolo ha qualificato se e Apollo come “servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”. In questo modo il ministero apostolico diventa esempio per ogni discepolo di Gesù. Non dimentichiamo che egli vuole rimproverare i Corinti per come hanno stravolto la vita cristiana facendone un ambito di vanità e di rivalità, e quindi di rissa e di divisioni. L’esempio degli apostoli deve indurli “a stare a ciò che è scritto”, cioè all’immagine del cristiano come è stata loro rivelata, e come “è scritto”. Io non escluderei che qui egli voglia fare riferimento anche ai fondamenti scritturistici della fede che lui e Apollo hanno loro annunciato e testimoniato. Lo scopo della sua ammonizione è quello di abbattere l’orgoglio, e il degrado delle relazioni interpersonali che ne deriva. Se ci si stacca dal Vangelo di Gesù, è inevitabile precipitare e ritornare alla conflittualità e alla sete di potere delle sapienze mondane. L’esempio di questi apostoli che come tali si si comportano come “servi di Cristo” deve essere per loro di ammonizione e di invito alla conversione.
Con tre “domande” il ver.7 mette in evidenza l’atteggiamento interiore ed esterno dei Corinti. E’ una considerazione che nasce dalla concreta vicenda del loro cammino di fede. In esso non c’è spazio per pretese di superiorità: “Chi dunque ti dà questo privilegio?”. Infatti: “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?” Tutto quello che siamo e che abbiamo è dono, è grazia! Non nostra conquista né nostro merito. E dunque: “Se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?”. Siamo ben lontani, siamo veramente all’opposto dell’umile diaconia degli apostoli che si considerano servi di Cristo e amministratori dei misteri divini loro affidati. Tale è la realtà profonda e l’esperienza più vera di ogni vita cristiana. Bisogna dunque recuperare la categoria fondamentale del dono di Dio. E più grande è il dono e più grande è la responsabilità che ne deriva, più deve essere profonda e forte la consapevolezza che tutto è grazia. Tutto è dono di Dio. Non “cosa nostra”!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
“Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?”: qui siamo agli antipodi della nostra mentalità corrente (“Mi sono fatto da solo”, “Tutti possono arrivare al successo…”). Se abbiamo ricevuto tutto, se tutto viene da Dio, fonte di ogni bene e di ogni dono perfetto, allora la nostra preghiera dovrebbe essere principalmente quella di ringraziamento. Più che la domanda, poiché lui sa già ciò di cui abbiamo bisogno, è urgente (e – lo sappiamo – gradito) il “Grazie, Signore”.