6 Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. 7 Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. 8 Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. 9 Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, 10 ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo, 11 del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro.
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«Per questo motivo» del v. 6 sembra riferirsi all’importanza e all’intensità del legame che unisce Paolo e Timoteo, legame che abbiamo visto esprimersi ieri nei termini dell’amore, della generazione secondo la fede, della continua memoria di Paolo nei confronti del figlio spirituale, di cui ricorda la persona, di cui desidera rivedere il volto, di cui ricorda le lacrime e la fede (cf. vv. 2-5).
«Ti ricordo» del v. 6 ci fa intendere che ora è Paolo a chiedere a Timoteo di esercitare la memoria, per potere ravvivare il dono di Dio ricevuto per l’imposizione delle mani dello stesso Paolo.
«Il dono di Dio» del v. 6 sembra non essere la fede del v. 5: mentre infatti questa è arrivata a Timoteo dalla sua nonna e dalla sua mamma, il dono di Dio è giunto a Timoteo per la mediazione di Paolo e del suo gesto di imposizione delle mani. Il testo odierno sottolinea il valore della mediazione di Paolo verso Timoteo e offre diversi altri elementi biografici: Paolo è prigioniero del Signore e soffre per il suo Vangelo (cf. v. 8), del quale è stato costituito «araldo, apostolo e maestro» (v. 11).
I vv. 9-10 sembrano tramandare una sorta di inno che spiega il contenuto del Vangelo per il quale Paolo soffre: esso comprende l’azione di Dio che salva, chiama non in base ad opere umane ma in base al proprio consiglio e alla propria grazia, e dà la stessa grazia prima del tempo; tale grazia si è manifestata nel tempo con Gesù Cristo «che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo» (v. 10), anzi, più precisamente e fortemente, secondo il testo originale «ha reso inoperante la morte e illuminato vita e incorruttibilità per mezzo del Vangelo».
In definitiva il senso fondamentale dei versetti di oggi pare l’appello rivolto da Paolo a Timoteo perché anche lui partecipi con l’Apostolo alla lotta per il Vangelo, cioè probabilmente alla fatica dell’evangelizzazione, accettandone le inevitabili conseguenze sul piano personale della sofferenza: «soffri anche tu insieme con me per il Vangelo» (v. 8) è il grande appello rivolto a Timoteo a non lasciare Paolo da solo ma a coadiuvarlo. La comunione nella sofferenza per il Vangelo dev’essere sostenuta dalla convinzione che il dono di Dio trasmesso da Paolo a Timoteo non consiste in uno «Spirito di debolezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (v. 7). Occorre che Timoteo se ne ricordi e, ricorrendo incessantemente con la mente all’imposizione delle mani del suo padre spirituale, si senta sostenuto «dalla forza di Dio» (v. 8).
Bellissimo oggi l’invito a “ravvivare” il dono di Dio che è in noi. Non ci manca niente, siamo suoi figli e fratelli, siamo chiamati, perdonati e salvati… eppure il suo dono come il fuoco nel camino quando lo si trascura è un po’ smorto, è sotto un po’ di cenere, sembra spento. Queste “coperture” (vergogna, prigionia, tristezze, afflizioni) sono connaturali a noi e al nostro essere suoi figlie discepoli. Paolo stesso non ne è esente. Ma lui ha ben chiaro che la prigionia, le persecuzioni, la sofferenza per il vangelo sono il segno della Pasqua di Gesù in lui.
Quindi ravvivare il fuoco affinchè si manifesti meglio prima di tutto a noi e poi agli altri che la morte è stata vinta e la luce risplende!