1,1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, per annunziare la promessa della vita in Cristo Gesù, 2 al diletto figlio Timòteo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.
3 Ringrazio Dio, che io servo con coscienza pura come i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; 4 mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. 5 Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te.
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La seconda lettera a Timoteo sembra che cominci esattamente come la prima, ma in realtà presenta delle diversità quasi impercettibili e tuttavia significative: al posto di “per comando di Dio” c’è “per volontà di Dio”; al posto di “speranza” c’è “promessa”; al posto di “vero figlio” c’è “amato figlio”. In tutti e tre i casi assistiamo ad un progresso dell’opera di Dio, della sua grazia preveniente, del suo amore per gli uomini.
Di questa grazia preveniente è segno anche il ricordo degli “antenati” dell’apostolo e della nonna e della mamma di Timoteo: tutte persone che con la loro fede e il loro amore hanno generato le generazioni successive alla vita e alla fede; quel che abbiamo e siamo di buono lo dobbiamo ad un amore che ci ha preceduti.
Quel che resta a noi è proseguire sull’onda di questo amore con il “ricordo” continuo e vicendevole nella preghiera e con una carità manifestata da lacrime, da nostalgia di rivedersi e da desiderio di gioia per la presenza dell’uno all’altro.
Nei primi due versetti Paolo – come anche all’inizio di 1 Tm – ripete per tre volte “Cristo Gesù”: per dire che gli appartiene in quanto da lui inviato (il significato etimologico della parola «apostolo»), per affermare che in lui si trova la promessa della vita e per augurare grazia misericordia e pace. Ripetere il nome di Gesù diventa così quasi un’invocazione, una preghiera che inaugura la nuova lettera paolina: «Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Rm 10,13).
Il riferimento di Paolo agli antenati propri (cf. v. 3) e a quelli di Timoteo (cf. v. 5) mi pare che serva a darci la buona notizia della bellezza e della preziosità di un atto di fede che non inizia da noi e non si ferma in noi, ma viene da lontano e ci sorpassa mediante coloro che, anche per mezzo nostro, entreranno a far parte della grande famiglia dei figli di Dio.
Anche a me è venuto in mente di collegare la “promessa della vita” alla trasmissione e alla fecondità della fede degli antenati di Paolo e della nonna e della mamma di Timoteo.
E’ commovente l’affetto che lega Paolo a Timoteo, il ricordo costante che ha di lui nelle sue preghiere, la nostalgia e il desiderio di rivederlo presto.
Anche io forse provo le stesse emozioni nei confronti di alcune persone care. Il ricordo della loro fede, della loro semplicità e della loro battaglia quotidiana, genera una comunione fortissima anche se le distanze che ci separano sono grandi.