1 Nell’anno centoquarantanove giunse notizia agli uomini di Giuda che Antioco Eupàtore muoveva contro la Giudea con numerose truppe; 2 era con lui Lisia, suo tutore e incaricato d’affari, che aveva con sé un esercito greco di centodiecimila fanti, cinquemilatrecento cavalieri, ventidue elefanti e trecento carri falcati. 3 A costoro si era unito anche Menelao, il quale incoraggiava con molta astuzia Antioco, non per la salvezza della patria, ma per la speranza di tornare al potere. 4 Ma il re dei re eccitò l’ira di Antioco contro quello scellerato e, avendogli Lisia dimostrato che era causa di tutti i mali, ordinò che fosse condotto a Berea e messo a morte secondo l’usanza del luogo. 5 Vi è là una torre di cinquanta cubiti piena di cenere, dotata di un ordigno girevole che da ogni lato pende a precipizio sulla cenere. 6 Di lassù tutti possono spingere verso la morte chi è reo di sacrilegio o chi ha raggiunto il colmo di altri delitti. 7 In tal modo morì Menelao, che non ebbe in sorte nemmeno la terra per la sepoltura. 8 Giusto castigo poiché, dopo aver commesso molti delitti attorno all’altare, il cui fuoco è sacro quanto la cenere, nella cenere trovò la sua morte.
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Quando in un testo come quello con cui ci incontriamo oggi, dove assistiamo ad un breve episodio che si svolge tra gente pagana, si coglie bene la radicale diversità delle persone e delle culture, e quindi l’abisso che in realtà distingue il popolo del Signore, pur con tutti i suoi limiti e i suoi peccati, dalle altre genti!
Si coglie soprattutto l’assenza del Signore! E’ una storia che si svolge senza di Lui.
Questo peraltro non è vero nella sostanza, ma certamente le persone non ne avvertono la presenza e l’azione!
In assenza di Dio, ognuno è spinto a “divinizzarsi”!
E’ una riflessione che penso utile anche per noi, “discepoli” del Signore, così esposti a ignorarne la presenza e quindi così esposti ad ogni idolatria, e soprattutto ad un’auto-idolatria, magari in parte mascherata e inconsapevole!
Nella Parola che oggi il Signore ci regala, si vede come senza il dono della fede ognuno sia fondamentalmente “solo”: dio a se stesso, idolo di se stesso.
Ma non meno immerso in questo “culto” che è “culto di sé”!
In questa inevitabile “lotta per il potere”, tutto si gioca tra il potere e la morte.
E nella non-verità. Nella bugia e nell’inganno.
Anche qui sussiste peraltro il riferimento al mistero di Dio! Così il riferimento, al ver.8, all’altare del Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Dispiace vedere la brutta fine di un “sommo sacerdote”: ma questo Menelao aveva acquisito la carica con l’astuzia e la corruzione e – come si dice anche qui, al v. 3 – mirava solo a tornare al potere, perso quando Giuda aveva ripreso il controllo di Gerusalemme. Le note dicono che l’autore vede nella sua morte il compimento della legge del taglione: aveva profanato il fuoco sacro e la sua cenere, e muore (in Siria, ad Aleppo) nella cenere di questo particolare supplizio. La legge del taglione ci riporta a Gesù, che nel discorso della montagna ha chiesto a noi, suoi discepoli, in modo chiaro e deciso, di eliminare questa pratica: Non replicate a chi vi fa del male, porgete l’altra guancia, a chi vuole il tuo mantello, dà anche la tua tunica…