11 Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. 12 Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
13 Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, 14 ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
15 che al tempo stabilito sarà a noi rivelata
dal beato e unico sovrano,
il re dei regnanti e signore dei signori,
16 il solo che possiede l’immortalità,
che abita una luce inaccessibile;
che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
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È l’ultima grande raccomandazione di Paolo a Timoteo. Possiamo domandarci se queste parole ci consentono di cogliere un tema e un motivo dominante di questa lettera che può apparire altrimenti piuttosto ordinaria e generica, senza un’intenzione particolare. Proprio le parole che oggi il Signore ci regala consentono forse di azzardare una sintesi, una “ragione” o almeno una “situazione” che raccolga tutto quello che abbiamo ascoltato. Mi pare che si staglino tre ambiti ai quali Paolo fa riferimento.
Il primo è certamente la persona e quindi la vita di fede, l’uomo interiore, di Timoteo. Non che questo lo isoli rispetto a quello che mi sembra il secondo riferimento della lettera, e cioè la comunità cristiana.
Rispetto a questa si evidenzia piuttosto la grande responsabilità del giovane Timoteo e del suo ministero. Un ministero che sembra sempre più sgorgare appunto dalla fede personale di Timoteo. “L’uomo di Dio” che oggi qualifica il discepolo di Paolo al ver. 11, lo definisce sia rispetto alla comunità che gli è affidata, sia rispetto al “mondo” da cui Timoteo viene scongiurato di fuggire.
E il “mondo” è il terzo grande ambito di attenzione della lettera. Un mondo che pare essere sia quello rappresentato dal giudaismo deteriore e aggressivo, sia quello del più vasto orizzonte delle sapienze e delle credenze mondane, oggi ampiamente citate, come in controluce, nella grande dossologia dei vers. 15-16, dove la glorificazione di Dio, secondo una formula che Paolo trae forse dalla preghiera sinagogale, contesta tutto quello che nel pensiero e nella prassi del mondo contamina la suprema signoria di Dio ed esalta oltre misura le pretese potenze intellettuali e spirituali dell’uomo.
L’esortazione rivolta al discepolo rivela forse una preoccupazione per la comunità cristiana esposta e aggredita dalla mondanità. È una battaglia da combattere, secondo il ver. 12, ma direi secondo il significato globale del nostro testo, sia sul versante positivo della fede e dell’attesa del Signore, sia sul versante più ostile di ciò che di negativo tende ad insinuarsi nella fede della comunità.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi è piaciuto leggere in parallelo il Vangelo di oggi dove viene severamente castigato l’invitato al banchetto di nozze trovato senza l’abito nuziale.
Le esortazioni a Timoteo forse possono essere lette come un invito ad indossare l’abito bianco, abito di festa, di riconoscenza, di onore, abito di protezione, di custodia del dono ricevuto, abito di testimonianza. La persona di Timoteo, così bella e importante, diventa, come Gesù davanti a Pilato, una fonte di bene e un riferimento per tanti altri della comunità cristiana e non.
Tipi così ne cosciamo tanti anche noi. L’esortazione alla irreprensibilità, al “combattimento”, all’acquisto della vita eterna per la quale siamo stati chiamati, risulta più facile, digeribile e motivante anche per me che sono lontanissimo da tutto questo.