6 Proponendo queste cose ai fratelli sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito come sei dalle parole della fede e della buona dottrina che hai seguito. 7 Rifiuta invece le favole profane, roba da vecchierelle.
8 Esèrcitati nella pietà, perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura. 9 Certo questa parola è degna di fede. 10 Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono. 11 Questo tu devi proclamare e insegnare.
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E’ un verbo raro e piuttosto forte quello che al ver. 6 indica questo “proporre” ai fratelli la sana dottrina del Signore, quasi volesse dire che non bisogna aver paura di insistere sui dati essenziali della fede. Al ver. 7 infatti ritorna ancora sul pericolo di dottrine deviate e devianti. Il patrimonio spirituale di Timoteo lo autorizza e lo impegna ad essere buon “diacono” (servitore, così alla lettera, dove è detto ministro) di Cristo Gesù. Si serve Gesù quando, come stiamo vedendo in questa lettera, tutto si raccoglie intorno alla sua Persona e alla sua Pasqua.
Il ministro di Dio, dice il ver. 8, non è un ripetitore di dottrina o un maestro di verità fisse e fissate. Quello che propone agli altri è in lui oggetto di incessante attenzione e impegno. Nella “pietà”, cioè nella vita di fede, egli è modello per gli altri a partire dalla sua stessa quotidiana esperienza. E’ la sua vita di fede a promuovere, sostenere e guidare quella degli altri! Questa “vita secondo Dio” non è tanto un’indicazione pastorale, quanto, appunto, un’esperienza. Il paragone con l’esercizio fisico è interessante, ed evidenzia che l’attenzione e il vantaggio dell’impegno nelle cose di Dio rispetto all’allenamento fisico, è che la vita di “pietà” guarda sia alla vita presente come a quella al di là della morte, dove quindi è proprio la prospettiva ultima a guidare l’attenzione e la tensione attuale.
Tutto questo poggia sulla nostra speranza nella potenza e nella volontà di salvezza universale di Dio. “Ci affatichiamo e combattiamo” non per un vago obiettivo, ma perché il dono di Dio è già tutto presente, in certo modo, nella nostra fede. Ci affatichiamo e combattiamo, dunque, per la speranza di “diventare quello che siamo”, direbbe S. Agostino. La tensione di questa vita di fede è quella di lasciar fiorire il dono che abbiamo ricevuto. E’ chiaro che, se questo piano universale di salvezza è per tutti, per i credenti esso è l’evidenza più affascinante e impegnativa dell’esistenza. Permettetemi un’osservazione occasionale: qui non si può dire che Paolo stia parlando di cristiani “speciali”, ma veramente di tutti coloro che sono stati visitati dall’amore di Dio.